Questa
mattina, Sua Santità il papa Benedetto XVI si è recato in visita ai luoghi che
videro l’epicentro del terremoto che nei giorni 20 e 29 maggio ha colpito
duramente le nostre terre.
E
così anche noi, con tutta la nostra truppa, con una corriera organizzata in
fretta e furia dalla nostra parrocchia, siamo partiti alla volta di Rovereto di
Novi, dove il Santo Padre era atteso per le ore 10.50, dopo essere stato a
visitare la frazione di San Marino, anch’essa duramente colpita dal sisma, ma
soprattutto luogo in cui, nella Chiesa parrocchiale, è morto il sacerdote don
Ivan Martini, nel tentativo di portare in salvo una statua della Santa Vergine
molto cara alla devozione di quella gente.
Per
assicurarci un posto il più vicino possibile al palco pontificio, la corriera è
partita alle 7.00, sebbene il nostro paese disti non più di un’ora dal luogo
dell’incontro papale.
Durante
il tragitto, quanto più ci avvicinavamo ai luoghi dell’epicentro sismico, tanto
più era sconcertante lo spettacolo di devastazione lasciato dietro di sé dal
terremoto: le case, le stalle, i fienili, le chiese, i negozi, le fabbriche,
tutto era distrutto, tutto era visibilmente e vistosamente pericolante. Un
senso di precarietà era palpabile nell’aria di quei paesi di campagna, fino a
poche settimane fa considerati da tutti prosperi e felici.
Giunti
sul posto è iniziato – per noi, ma soprattutto per i nostri cinque pargoli – il
periodo più difficoltoso. Infatti, i pochi posti a sedere preparati erano già
tutti occupati (e mancavano ancora quasi tre ore all’arrivo del papa!) e lì per
lì eravamo finiti assiepati proprio contro la transenna centrale. La prima ora
è passata abbastanza bene, anche perché, almeno, eravamo all’ombra. Poi, i
bambini hanno iniziato a dare in escandescenza: “Mamma sono stanca!” tuonava
Camilla; “Quando andiamo a casa?” le faceva eco Giovanni; “Ho sete!” continuava
allora Mariangela, e via discorrendo.
Finalmente,
quindi, un gentile operatore della Protezione Civile ci ha aperto un varco per farci
passare nel parco-giochi accanto a noi, proprio affianco al palco papale. Qui tutto
è cambiato: c’era un grande spazio verde con giochi per bambini e panchine,
dove i bambini hanno potuto rilassarsi e fare merenda nell’attesa dell’arrivo
del papa.
Proprio
lì c’era pure la anche la tribuna della stampa e così io e Mamma Elly siamo
stati intervistati per ben due volte ciascuno, da vari media nazionali (Ansa,
Radio Vaticana, Rai 3 ed un’altra TV da noi non identificata).
Finalmente,
alle 10.57, con quasi dieci minuti di ritardo, il papa è arrivato. Noi eravamo
proprio lì, a circa dieci metri di distanza da lui: un’esperienza spiritualmente
intensa ed umanamente emozionante.
Prima
c’è stato lo scialbo discorso del presidente della Regione Emilia Romagna,Vasco
Errani; scialbo, dicevo, perché pareva la riedizione di un programma
democristiano della prima repubblica: tanta retorica; tante, tantissime
promesse circa il radioso avvenire delle nostre terre martoriate; tanti ringraziamenti
al papa, invero un tantino stridenti sulla bocca di un esponente politico erede
di una filosofia atea e materialistica completamente avversa non solo alla
Chiesa, ma all’idea stessa di trascendenza. Tanto fumo; niente arrosto. Anzi,
una nota – a mio modo di vedere – particolarmente stonata. Errani, infatti, ha
detto che la prima cosa ad essere ricostruita saranno – udite, udite – le scuole.
Sono rimasto sbigottito: come “le scuole”? E le case? E la gente che dorme
nelle tende? Anche questo è un segno nefasto di inversione dei principi: prima
le famiglie devono avere un tetto sulla testa dove poter vivere, magari con
sobrietà, ma comunque con dignità; poi vengono semmai gli ospedali, molti dei
quali distrutti dal sisma, ma pur sempre indispensabili per garantire la
sopravvivenza delle persone (non dimenticando che il primo dovere dello stato è
garantire il benessere materiale delle persone, secondo il vecchio principio: la
Chiesa curi la salute delle anime e lo stato quella dei corpi). Quindi,
dovranno venire i luoghi di lavoro, nei quali le persone si guadagnano il pane
quotidiano. Infine, per ultime, le scuole e gli uffici pubblici. Questa è la
giusta gerarchia, secondo la retta ragione ed il giusto diritto.
Quindi
è stata la volta di un breve ed assai ben riuscito discorso di Sua Eminenza il
Cardinale Carlo Caffarra, Arcivescovo di Bologna, in rappresentanza di tutti i
Vescovi (pure essi presenti) della Metropolia Emiliano-Romagnola. Il breve
discorso è stato improntato alla speranza cristiana; l’apice – ed, in certa
misura, la sintesi – dell’intervento è stata la citazione delle parole che un
bambino – ha raccontato Caffarra – gli ha detto qualche settimana fa: “Le nostre case hanno molte crepe, ma i
nostri cuori no!”.
Infine
– cosa più importante – le parole del papa. Un discorso semplice ed alieno
dalla retorica di circostanza. Dopo qualche sobrio e soprattutto brevissimo
cenno di saluto alle autorità civili e religiose, ecco che il papa dice due cose
semplicissime, una di ordine religioso, l’altra di ordine pratico.
La
prima è, in sostanza, questa: non perdete la Fede, perché Dio vi ama e non vi
abbandona anche durante il terremoto. Questa, in estrema sintesi, la prima
parte del discorso del papa. Niente di più. Un discorso da papa e non da
politicante. Un solo concetto, ma di un importanza assoluta e capitale. Due le
esplicitazioni fatte dallo stesso pontefice: la Fede non ci deve abbandonare, perché
Dio, che è l’Autore della Fede, non ci abbandona; da qui nasce la Speranza,
quella vera, quella con la “S” maiuscola. Non la speranza di un avvenire temporale
prospero, ma la Speranza di una vita che nessun terremoto può sconquassare, perché
fondata su una pietra angolare che non può crollare: Nostro Signore Gesù
Cristo. Le parole del papa sono diverse dalle mie, ma il concetto è questo.
La
seconda cosa che il papa ha detto è, invece, questa: la Chiesa è vicina ai
terremotati, non solo con la doverosa preghiera a Colui che tutto sa e tutto
può, ma anche con le concrete opere di carità poste in essere dagli enti e
dagli organismi religiosi sparsi sul territorio, Caritas parrocchiali e
diocesane in primis.
Qui
di seguito riporto il testo integrale del discorso di Sua Santità.
DISCORSO
DI S.S. PAPA BENEDETTO XVI
Cari
fratelli e sorelle!
Grazie
per la vostra accoglienza!
Fin
dai primi giorni del terremoto che vi ha colpito, sono stato sempre vicino a
voi con la preghiera e l’interessamento. Ma quando ho visto che la prova era
diventata più dura, ho sentito in modo sempre più forte il bisogno di venire di
persona in mezzo a voi. E ringrazio il Signore che me lo ha concesso!
Saluto
allora con grande affetto voi, qui riuniti, e abbraccio con la mente e con il
cuore tutti i paesi, tutte le popolazioni che hanno subito danni dal sisma,
specialmente le famiglie e le comunità che piangono i defunti: il Signore li
accolga nella sua pace. Avrei voluto visitare tutte le comunità per rendermi
presente in modo personale e concreto, ma voi sapete bene quanto sarebbe stato
difficile. In questo momento, però, vorrei che tutti, in ogni paese, sentiste come
il cuore del Papa è vicino al vostro cuore per consolarvi, ma soprattutto per
incoraggiarvi e sostenervi.
Saluto
il Signor Ministro Rappresentante del Governo, il Capo del Dipartimento della
Protezione Civile, e l’Onorevole Vasco Errani, Presidente della Regione
Emilia-Romagna, che ringrazio per le parole che mi ha rivolto a nome delle istituzioni
e della comunità civile. Desidero ringraziare poi il Cardinale Carlo Caffarra,
Arcivescovo di Bologna, per le affettuose espressioni che mi ha indirizzato e
dalle quali emerge la forza dei vostri cuori, che non hanno crepe, ma
sono
profondamente uniti nella fede e nella speranza.
Saluto
e ringrazio i Fratelli Vescovi e Sacerdoti, i rappresentanti delle diverse
realtà religiose e sociali, le Forze dell’ordine, i volontari: è importante
offrire una testimonianza concreta di solidarietà e di unità.
Come
vi dicevo, ho sentito il bisogno di venire, seppure per un breve momento, in
mezzo a voi. Anche quando sono stato a Milano, all’inizio di questo mese, per
l’Incontro Mondiale delle Famiglie, avrei voluto passare a visitarvi, e il mio
pensiero andava spesso a voi. Sapevo infatti che, oltre a patire le conseguenze
materiali, eravate messi alla prova nell’animo, per il protrarsi delle scosse,
anche forti; come pure dalla perdita di alcuni edifici simbolici dei vostri paesi,
e tra questi in modo particolare di tante chiese. Qui a Rovereto di Novi, nel
crollo della chiesa – che ho appena visto – ha perso la vita Don Ivan Martini.
Rendendo omaggio alla sua memoria, rivolgo un particolare saluto a voi, cari
sacerdoti, e a tutti i confratelli, che state dimostrando, come già è avvenuto
in altre ore difficili della storia di queste terre, il vostro amore generoso
per il popolo di Dio.
Come
sapete, noi sacerdoti – ma anche i religiosi e non pochi laici – preghiamo ogni
giorno con il cosiddetto «Breviario», che contiene la Liturgia delle Ore, la
preghiera della Chiesa che scandisce la giornata. Preghiamo con i Salmi,
secondo un ordine che è lo stesso per tutta la Chiesa Cattolica, in tutto il
mondo.
Perché
vi dico questo? Perché in questi giorni ho incontrato, pregando il Salmo 46,
questa espressione: «Dio è per noi rifugio e fortezza,/aiuto infallibile si è
mostrato nelle angosce./Perciò non temiamo se trema la terra,/se vacillano i
monti nel fondo del mare» (Sal. 46,2-3).
Quante
volte ho letto queste parole? Innumerevoli volte! Eppure in certi momenti, come
questo, esse colpiscono fortemente, perché toccano sul vivo, danno voce a
un’esperienza che adesso voi state vivendo, e che tutti quelli che pregano
condividono. Ma – vedete – queste parole del Salmo non solo mi colpiscono
perché usano l’immagine del terremoto, ma soprattutto per ciò che affermano
riguardo al nostro atteggiamento interiore di fronte allo sconvolgimento della
natura: un atteggiamento di grande sicurezza, basata sulla roccia stabile,
irremovibile che è Dio. Noi «non temiamo se trema la terra» – dice il salmista
– perché «Dio è per noi rifugio e fortezza», è «aiuto infallibile … nelle
angosce».
Cari
fratelli e sorelle, queste parole sembrano in contrasto con la paura che
inevitabilmente si prova dopo un’esperienza come quella che voi avete vissuto.
Una
reazione immediata, che può imprimersi più profondamente, se il fenomeno si
prolunga. Ma, in realtà, il Salmo non si riferisce a questo tipo di paura, e la
sicurezza che afferma non è quella di super-uomini che non sono toccati dai
sentimenti normali. La sicurezza di cui parla è quella della fede, per cui, sì,
ci può essere la paura, l’angoscia – le ha provate anche Gesù – ma c’è
soprattutto la certezza che Dio è con me; come il bambino che sa sempre di
poter contare sulla mamma e sul papà, perché si sente amato, voluto, qualunque
cosa accada. Così siamo noi rispetto a Dio: piccoli, fragili, ma sicuri nelle
sue mani, cioè affidati al suo Amore che è solido come una roccia. Questo Amore
noi lo vediamo in Cristo Crocifisso, che è il segno al tempo stesso del dolore
e dell’amore. È la rivelazione di Dio Amore, solidale con noi fino all’estrema
umiliazione.
Su
questa roccia, con questa ferma speranza, si può costruire, si può ricostruire.
Sulle macerie del dopoguerra – non solo materiali – l’Italia è stata ricostruita
certamente grazie anche ad aiuti ricevuti, ma soprattutto grazie alla fede di
tanta gente animata da spirito di vera solidarietà, dalla volontà di dare un
futuro alle famiglie, un futuro di libertà e di pace. Voi siete gente che tutti
gli italiani stimano per la vostra umanità e socievolezza, per la laboriosità
unita alla giovialità. Tutto ciò è ora messo a dura prova da questa situazione,
ma essa non deve e non può intaccare quello che voi siete come popolo, la
vostra storia e la vostra cultura. Rimanete fedeli alla vostra vocazione di
gente fraterna e solidale, e affronterete ogni cosa con pazienza e
determinazione, respingendo le tentazioni che purtroppo sono connesse a questi
momenti di debolezza e di bisogno.
La
situazione che state vivendo ha messo in luce un aspetto che vorrei fosse ben
presente nel vostro cuore: non siete e non sarete soli! In questi giorni, in
mezzo a tanta distruzione e dolore, voi avete visto e sentito come tanta gente
si è mossa per esprimervi vicinanza, solidarietà, affetto; e questo attraverso
tanti segni e aiuti concreti.
La
mia presenza in mezzo a voi vuole essere uno di questi segni di amore e di
speranza. Guardando le vostre terre ho provato profonda commozione davanti a
tante ferite, ma ho visto anche tante mani che le vogliono curare insieme a
voi; ho
visto
che la vita ricomincia, vuole ricominciare con forza e coraggio, e questo è il
segno più bello e luminoso.
Da
questo luogo vorrei lanciare un forte appello alle istituzioni, ad ogni
cittadino ad essere, pur nelle difficoltà del momento, come il buon samaritano
del Vangelo che non passa indifferente davanti a chi è nel bisogno, ma, con
amore, si china, soccorre, rimane accanto, facendosi carico fino in fondo delle
necessità dell’altro (cfr Lc. 10,29-37).
La
Chiesa vi è vicina e vi sarà vicina con la sua preghiera e con l’aiuto concreto
delle sue organizzazioni, in particolare della Caritas, che si impegnerà anche
nella ricostruzione del tessuto comunitario delle parrocchie.
Cari amici, vi benedico tutti e
ciascuno, e vi porto con grande affetto nel mio cuore.
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Domani MammaElly vi racconterà “come i bambini hanno preso” la visita del papa.