Oggi è il 4 marzo 2017 e, in occasione della giornata natale di Lucio Dalla, ho pensato di condividere un recente lavoro di italiano di Margherita.
La celeberrima canzone le è sempre piaciuta tanto, fin da piccolina: l'ha sempre trovata, come tanti noi, estremamente evocativa e "narrativa", una di quelle canzoni che si fanno immagini nella nostra testa.
Già 4 anni fa, il suo testo venne scelto dalla bambina per un dettato e un disegno: Il nostro piccolo omaggio a Lucio Dalla.
Un paio di settimane or sono, Margherita ha pensato di trasformare il testo della canzone in racconto.
Ha poi rappresentato la canzone-racconto con un nuovo disegno, usando teneramente gli stessi colori e la stessa angolazione con cui aveva immaginato la scena da piccolina.
Scrivo un racconto ispirandomi alla canzoni di Lucio
Dalla “4/3/1943”
04 marzo
1943
Aveva
sempre amato il mare, Maria.
Quella
spiaggia inondata dal sola e baciata dal mare era sempre stata il suo rifugio,
fin da bambina.
Le
onde lambivano i suoi piedi scalzi sulla sabbia calda.
I
pini marittimi frusciavano nel vento salato.
Il
bambino scalciò, Maria si accarezzò il ventre. Il piccolo si mosse di nuovo, e
il suo grembo sussultò.
Maria
chiuse gli occhi: aveva 16 anni, ora: era il 04 marzo, il giorno del suo
compleanno. Sorrise ascoltando il bimbo che faceva le capriole nella sua
pancia. Il suo tesoro, il suo raggio di sole: quel bambino era l’unica cosa che
le fosse rimasta, oltre al vestito che indossava e a una piccola stanza sul
porto da cui vedeva il mare. La ragazza chiuse gli occhi e una lacrima le
sfuggì sulla guancia, rotolando fino a bagnarle le labbra. Erano salate, le sue
lacrime, come l’acqua del mare e il vento salmastro che le scompigliava i
lunghissimi riccioli neri.
Erano
lacrime di delusione. Di speranza. Di paura, per quel bambino che ad appena 16
anni avrebbe cresciuto da sola. Un’altra lacrima bagnò le sue labbra schiuse.
Lo
aspettava, lo aspettava ancora, lo aspettava sempre.
Rivide
davanti a sé quel giorno. Era una luminosa giornata di giugno, quella.
Maria
avrebbe sempre ricordato come splendeva il sole nel cielo, come il suo
riverbero illuminasse di una luce radiosa ogni cosa.
Aveva
solo 15 anni, all’epoca.
Era
salita sul pontile, circondato dall’erba frusciante nella brezza.
Si
era fermata ad ammirare il mare turchese, le onde che all’orizzonte si
infrangevano sugli scogli. Indossava lo stesso vestito arancione che portava
anche ora. Quel giorno, Maria aveva sentito le assi del pontile scricchiolare.
“Good morning, miss” aveva detto una voce
maschile alle sue spalle.
Maria
si era voltata, anche se non aveva capito nulla di quello che aveva detto lo
straniero.
“Buongiorno”
aveva ribattuto lei, ma il ragazzo probabilmente capiva la sua lingua quanto
lei capiva l’inglese.
Maria
non sapeva cosa l’avesse colpita per prima del ragazzo: se la sua voce
profonda, i suoi capelli corvini o forse gli occhi dello stesso grigio del mare
in tempesta.
Si
erano guardati un po’: probabilmente lui era stato colpito dagli occhi così
verdi di Maria, e dai suoi capelli neri, sicuramente i più lunghi che avesse
mai visto.
Non
avevano parlato, non si erano presentati: parlavano due lingue differenti, non
si sarebbero capiti, Ma una cosa, sì, la sapevano entrambi: si amavano.
Non
importava quanto irragionevole fosse, non importava che si conoscessero da così
poco: l’amore non conosce lingua, né distanza, né la morte.
Si
erano distesi sull’erba fresca lì vicino. Ciò che accadde potete immaginarlo.
Solo
il mare e il vecchio faro di pietra furono testimoni del loro amore e della
loro giovanile e irrefrenabile passione.
Lui
era ripartito il pomeriggio stesso. Prima di salire le aveva prese le mani
nelle sue e l’aveva guardata intensamente, con le sue iridi di un grigio così
profondo.
Poi
si erano baciati per l’ultima volta, un bacio disperato che sapeva di addio e
di per sempre. Lui era molto alto, Maria aveva dovuto alzarsi sulle punte dei
piedi per baciarlo. Lui si era staccato da lei, le aveva accarezzato la guancia
per l’ultima volta e si era girato, una sacca in spalla, per salire sulla nave
che lo avrebbe portato lontano, in guerra. Maria era restata sul molo a
guardare la nave allontanarsi dal porto.
Erano giovanissimi
entrambi: 15 anni lei, 17 o 18 lui.
Qualche settimana dopo,
Maria aveva scoperto di essere incinta.
Sapeva che avrebbe potuto abortire, ma non
aveva nemmeno preso in considerazione l’idea. Quel bambino era il frutto del
fugace amore fra lei e il giovane soldato: non lo avrebbe perso. Tuttavia,
quando aveva detto ai genitori di essere gravida loro, scandalizzati, l’avevano
cacciata di casa.
Maria
aveva affittato una piccola stanza sul porto con i pochi risparmi. Era quello
il destino delle ragazze madri.
Tuttavia,
il bello straniero non sarebbe mai più ritornato: quella con Maria era stata
l’ora più dolce prima di essere ammazzato. Era morto in guerra, in battaglia.
Ma
Maria non poteva saperlo. Da quando aveva saputo di essere incinta lo aveva
aspettato ogni giorno, in piedi sulla spiaggia del porto, dove per la prima
volta lo aveva visto partire. Lo aspettava per ore, mentre nel suo grembo il
bambino cresceva, mentre la pancia si ingrossava, con l’unico vestito ogni
giorno più corto.
Attendeva,
ma lui non ritornava. Maria non sapeva che non è che non volesse tornare da
lei, ma non poteva perché era morto. Erano passati nove mesi dal giorno in cui
lo straniero era partito per mare, e non era più tornato.
Maria
interruppe il flusso dei ricordi e riaprì gli occhi.
Le
onde del mare erano increspate dal vento e sciabordavano sommessamente.
Erano
belle, ma all’orizzonte non v’era alcuna nave in arrivo.
Maria
si asciugò le lacrime che bagnavano il suo viso da bambina: “E’ inutile”,
pensava, “per oggi non tornerà più”. La tristezza era dipinta nei grandi occhi
verdi e speranzosi.
“Lo
hai aspettato anche oggi, vero?” chiese una voce alle sue spalle.
Maria
si girò: era Anna, l’anziana signora che l’aveva cresciuta. l’unica alla quale
la ragazza aveva detto chi fosse il padre del bambino che portava in grembo.
Maria
si asciugò le lacrime con il palmo della mano e annuì.
La
vecchia jaja - così Maria la chiamava
quando era bambina - scosse mestamente
il capo e si limitò a dire: “Vieni via, bambina, torniamo a casa”.
Maria
osservò il mare per l’ultima volta.
“Avanti,
vieni! Per oggi non ci sono più navi in arrivo” gridò la jaja, che si era già
avviata verso casa.
“Sì.
Eccomi” disse Maria, e si voltò.
Attraversarono
il porto brulicante di gente e merci: odorava di salsedine, legno vecchio e
pesce fresco.
Maria
aprì la porta e lentamente cominciò a salire le scale. Andava piano per via del
pese della pancia.
Entrò
nella piccola e modesta camera in affitto. Andò subito in terrazzo.
Era
la finestra più alta della palazzina più alta.
Da
lassù si vedeva il porto brulicante di vita, e il mercato del pesce a est.
La visuale
era incorniciata dal mare color turchese e dalla spiaggia di sabbia fine come
farina di grano. Sulla scogliera che abbracciava il porto era arroccato
l’antico faro, che come un silente guardiano di pietra vegliava su mare, terra
e cielo.
Maria
stava giusto contemplando il faro, quando sentì una fitta nel bassoventre,
seguita da molte altre. Si piegò in due per il dolore.
“Ci
siamo”, disse la vecchia Anna.
E
aveva ragione.
***
Qualche
ora dopo, lo stesso giorno del compleanno della sua mamma, il bambino nacque.
Jaja lo prese in braccio, lo lavò e lo avvolse in una coperta.
“Tieni,
bambina: è un maschio” disse la vecchia porgendoglielo.
Maria
allungò le braccia e prese il bambino fra le sue.
Era così piccolo… il neonato cominciò a piangere.
Maria guardò confusa la jaja: “Cosa aspetti, ragazzina?
Attaccalo al seno, su!” le spiegò Anna.
Maria slacciò la semplice camicia da notte bianca di cotone e
attaccò il bimbo a un piccolo seno acerbo, bianco come la spuma delle onde. Il
suo petto sapeva di mare.
Il piccolo cominciò subito a succhiare, e Maria sussultò: era
una sensazione strana e bellissima insieme. Abbassò gli occhi sul neonato che
poppava: una sensazione dolcissima la invase.
Era il suo piccolo, il suo bambino, suo e del figlio del bel soldato di
cui si era innamorata. Un dolce sorriso radioso si aprì sul suo volto
infantile. Quando il piccolo si staccò dalla mammella, Maria lo strinse a sé,
sentendo il calore di quel corpicino appena venuto alla luce. Maria prese a
ninnarlo fra le braccia, come faceva con le bambole quando era bambina. Non
aveva esperienza con i neonati, in fondo aveva appena 16 anni, ma le venne
naturale cullare fra le braccia il suo bambino. Poi, con voce gentile e
sommessa, quasi da bambina, cominciò a cantare a ninnananna le strofe di
taverna. E mentre cullava e cantava, sorrideva. Le sembrava di essere tornata
bambina: cullare una bambola non era poi tanto diverso dal cullare un bambino
vero, e quella constatazione puerile la faceva sorridere gioiosa.
Il piccolo allungò la manina minuscola, proprio come quella
delle sue bambole, e, in un istante di tenerezza assoluta, il bambino chiuse la
manina intorno al dito della mamma.
Maria sentì un tuffo al cuore.
Il neonato spalancò gli occhi: erano di un castano
scurissimo, con sfumature dello stesso grigio degli occhi del suo papà. Questo
particolare colpì molto la ragazzina, che sorrise fra sé con tenerezza ,
stringendolo al petto che sapeva di salsedine mentre baciava la fronte morbida
del piccolo. Maria non avrebbe mai dimenticato la fiducia incrollabile che
illuminava gli occhioni neri del bimbo.
“Come hai deciso di chiamarlo?” chiese la jaja.
Maria si fece pensierosa: non aveva mai pensato al nome da
dare al bambino.
Si guardò intorno. La stanza era piuttosto spoglia, fatta
eccezione per un quadro appeso alla parete opposta al letto: raffigurava la
Madonna con Gesù Bambino.
Fu in quel momento che a Maria venne un’idea: ora sapeva come
chiamare il figlioletto.
“Gesù” disse sorridendo mentre cullava il bambino e ciocche
di capelli le sfuggivano sugli occhi.
“Cosa?” chiese Anna.
“Gesù” ripeté Maria.
Quel nome era perfetto: lei aveva lo stesso nome della
Madonnina e il suo bambino si sarebbe chiamato Gesù. Anche la Madonna era molto
giovane quando aveva dato alla luce il Santo Bambino. Maria pensò che anche lei
non aveva molto da offrire al neonato che teneva fra le braccia, come la
Madonna.
La ragazza non aveva altro che una culla di vimini in cui
posare il piccolo, aveva solo un paio di tutine di cotone per coprirlo e una
coperta di lana grezza per coprirlo.
Ma poteva dargli l’amore. Di quello era ricca, ne aveva tanto
nel suo cuore.
L’anziana jaja la guardò perplessa: “Non puoi dare al bambino
il nome di nostro Signore. Soprattutto se è nato fuori dal matrimonio come in
questo caso”.
“Sì che posso” disse la ragazzina, continuando a cullare il
pargoletto.
Maria era poco più di una bambina, ma era sicura che non
avrebbe offeso nessuno chiamando così il neonato.
“Proprio perché il suo papà non è qui, io voglio affidare il
mio bambino a Dio”, spiegò. “Io sono Maria. e lui è Gesù”, concluse con tono
giocoso la ragazza.
E anche se per l’anagrafe non fu possibile, in fondo al suo
cuore il suo bambino si sarebbe sempre chiamato Gesù.
***
35 anni dopo, 1978
Gesù si fece largo fra la calca del porto, ma ormai vi si era
abituato.
Strinse forte le margherite che teneva in mano perché non
fossero sciupate dalla gente che lo spintonava di qua e di là.
La calura era opprimente, l’aria così satura di umidità da
risultare pesante come una spugna impregnata d’acqua.
Vide un’osteria sul lato della strada e decise do sostarvi
qualche minuto per cercare refrigerio.
“Un bicchiere di vino rosso” ordinò appena entrato, lanciando
una moneta sul bancone.
“Subito, signore” rispose il cameriere.
“Ehi, guarda chi si vede: Gesù bambino!”, si sentì chiamare
Gesù.
Si girò: seduto a un tavolo c’era Gianni. Era un vecchio
amico di suo madre, e lo aveva sempre chiamato con quel nomignolo scherzoso.
Gesù noto che era invecchiato dall’ultima volta che lo aveva visto, ma non
glielo disse.
“Ehilà, Gianni! Come ti va la vita, vecchio mio?” chiese Gesù
dando una pacca sulla spalla all’uomo.
“Bah, come al solito” fu la risposta “Vuoi fare una partita a
carte con un vecchio ubriacone come me?” chiese.
“Ecco il suo vino, signore” disse il cameriere porgendo un
bicchiere a Gesù.
Lui lo prese e lo tracannò tutto d’un fiato.
“Con piacere” rispose, spazzandosi la bocca umida di vino
rosso con la manica della camicia.
Mezz’ora dopo, Gesù disse: “Hai vinto tu, amico. Ecco i tuoi soldi”.
“Avevi qualche dubbio sull’esito? Sono sempre stato
imbattibile con le carte” dichiarò soddisfatto Gianni, infilando con un sorriso
sornione i soldi nella tasca dei pantaloni. “A proposito: per chi sono quei
fiori?” domandò indicando i fiori che Gesù stringeva ancora in mano con un
cenno del capo.
“Sono per la mamma” rispose di rimando l’uomo, notando con
dispiacere che le belle margherite si erano sciupate per via della calura e del
contatto con i suoi palmi sudaticci. “Allora ti lascio andare. Alla prossima,
Gesù bambino”.
“Ci vediamo, Gianni” e Gesù uscì fuori. Nell’aria c’era da
sempre lo stesso odore stagnante e inebriante allo stesso tempo: salsedine,
legno antico delle barche e pesce appena pescato. Gesù si portò lontano dalla
folla, dai pescatori, dai mozzi, dai marinai e dai venditori di pesce e di reti
da pesca.
Si inerpicò fino a raggiungere il vecchio pontile. Le onde
schiumavano infrangendosi contro gli scogli rocciosi che limitavano
l’orizzonte.
Gesù pensò con nostalgia alla madre. Maria era morta sei anni
prima a causa di un tumore al seno, a soli 45 anni.
Poggiò le margherite dal gambo ormai afflosciato e la corolla
rivolta in basso sul pontile di legno. Gli tornarono alla mente tutte le volte
che sua mamma si era fermata lassù ad ammirare il mare. Non c’era vento, né
pioggia, né malattia che la fermasse: ogni giorno lei lì, ferma sul pontile, lo
sguardo perso all’orizzonte, così giovane da sembrare una bambina ma tanto
triste che nessuno osava dirle che non sarebbe mai più tornato da lei, per non
spezzarle il cuore più di quanto fosse giù spezzato.
Lo aveva aspettato tutte la vita.
Ogni giorno ad attendere, ogni giorno sperando nel ritorno
impossibile di colui che aveva tanto amato.
Talvolta lo aveva portato con sé, quando era ancora molto
piccolo.
Se ne stava lì per ore, con il piccolo Gesù in braccio, a
guardare il mare con malinconia. Anche se era ancora molto piccolo, Gesù
ricordava la tristezza abissale negli occhi della mamma. Per consolarla,
allora, il piccolo Gesù raccoglieva belle conchiglie perlate e gliele porgeva
con le sue manine paffute.
Maria si asciugava gli occhi, girandosi perché non vedesse
che aveva pianto, sorrideva, poi gli dava un bacio sulla guancia e accettava
contenta le conchiglie perlacee. Poi prendeva in braccio Gesù e lo faceva
girare in alto, come di solito fanno i papà con i figli. Anche quando era
morta, Maria si era fatta cremare e le sue ceneri, secondo ciò che aveva
chiesto, erano state sparse nel vento e nel mare che aveva tanto amato.
Anche nella morte, Maria era stata vicina al suo amato. Così
sarebbero stati insieme per sempre.
Gesù sorrise al ricordo di come lo aveva chiamato il vecchio,
bravo Gianni.
“Certo che mi hai dato proprio un nome strano, mamma”,
mormorò nel vento che sapeva di sale, quasi che la madre potesse ascoltarlo.
Scrollò le spalle: ancora adesso che giocava a carte e beveva
vino, per la gente del porto si chiamava «Gesù bambino».
Una canzone che è sempre piaciuta tanto anche a me. Grazie per questo bel racconto mi hai fatto sognare. Ciao Bea
RispondiEliminaCiao Margherita, volevo solo dirti che mi hai fatto commuovere con questo racconto, ma ascoltando la canzone non mi era mai successo. Che dire sei proprio brava!!!
RispondiEliminaBravissima Margherita!È davvero un racconto bellissimo!!!
RispondiEliminaMaria
Che bel racconto! Molto poetico e toccante. Brava, Margherita!
RispondiEliminaGrazie infinitamente a tutte!
RispondiEliminaI vostri commenti mi hanno fatto moltissimo piacere!
Siete state tutte gentilissime.
Ancora grazie, veramente,
Margherita