Anche oggi, come già venerdì scorso, vi parlo di un libro nato da un concorso letterario.
Anche oggi, di un concorso letterario a cui ha partecipato anche Margherita.
Il tema di questo concorso, dal titolo probabilmente incomprensibile ai "non-bolognesi", era questo:
Sócc'mel... che canzone!
BOLOGNA LA GRASSA… CANTATA
TORRI, TORTELLINI E… CANZONI
Molti cantanti hanno camminato e camminano sotto i portici di Bologna trasformando in rime le emozioni che la città felsinea è in grado di scatenare.
Canzoni sussurrate, cantate a squarciagola, da soli o in gruppo.
Mettete su un CD, lasciatevi trasportare dalla musica e dalle parole e immaginate una storia, una piccola storia dove le sensazioni suscitate dalla canzone si fondono con le vostre parole.
Bene, ora si tratta solo di scriverla ispirandovi a uno di questi cantanti:
Freak Antoni (Skiantos)
Luca Carboni
Fausto Carpani
Dino Sarti
Lucio Dalla
Gianni Morandi
Quinto Ferrari
Claudio Lolli
Andrea Mingardi
Federico Poggiopollini
Salvatore Vinciguera
Stadio
Cesare Cremonini
Raffaella Carrà
Nilla Pizzi
Cristina D’Avena
Eloisa Atti
Angela Baraldi
Iskra Menarini
Grazia Verasani
Margherita, che aveva per caso recentemente scritto un racconto ispirato alla sua canzone del cuore, "4/3/1943", ha chiesto il permesso di partecipare (il concorso era per soli maggiorenni) e, ottenutolo, inviato il suo racconto, un po' modificato per esigenze di spazi e battiture.
Qualche mese dopo, abbiamo ricevuto - per caso, proprio lo stesso pomeriggio della comunicazione del concorso "Personaggi in cerca di storie" - la comunicazione che il suo racconto, "Ninnananna di taverna" fosse stato selezionato e che sarebbe stato inserito nell'antologia!
Che emozione!!!! Che gioia!!!
La mail conteneva anche l'invito alla cerimonia di premiazione.
Questa si è svolta il 3 febbraio scorso.
Prima di raccontarvi - anzi, di farvi raccontare direttamente da Margherita - com'è andata, vi lascio dati e dettagli del libro, che mi sento d consigliare per la sua leggerezza, nel senso più bello del termine: sono letture piacevoli, scorrevoli e delicate, a volte ironiche, a volte sagaci, a volte spensierate, a volte spunto di riflessione su temi anche amari della vita. Sempre con un motivetto, una melodia nel cuore e nella testa.
Titolo: Socc'mel... che canzone!
Autore: A.A. V.V.
Casa Editrice: Il Loggione
Numero di pagine: 322
GENERE DEL LIBRO: Raccolta antologica di racconti
Mercoledì, 07 febbraio 2018
Tema
L’emozione di un giorno speciale
Ognuno
di noi ha una canzone speciale.
Quella
canzone che è come un rifugio, un luogo in cui ci ripariamo, in cui ci sentiamo
al sicuro, in cui entriamo a contatto con la parte più intima di noi.
Quella
canzone che ci prende per mano e ci porta lontano, lontano dagli affanni di
ogni giorno, lontano dalle preoccupazioni.
Quella
canzone di cui ci basta sentire la prima nota per riconoscerla e sorridere.
Quella
melodia che ci trasporta lontano da noi stessi, dalla parte superficiale di
noi, per farci ricongiungere con la nostra parte più vera e più profonda.
Ecco,
per me quella canzone è sempre stata “4/3/1943” di Lucio Dalla.
Ricordo
di averla ascoltata fin da quando ero bambina, molto piccola, e mi è entrata
nel cuore.
La
fugace storia d’amore fra una ragazzina e un giovane soldato straniero, che
porta alla nascita di un bambino che verrà chiamato come nostro Signore, mi ha
sempre affascinata e, soprattutto, emozionata.
Sulle
note semplici e scanzonate degli strumenti a corda, quella storia narrata con
parole delicate ma reali mi trasportava in quella piccola stanza sul porto,
accanto a quella fanciulla sfortunata.
Ha
sempre significato molto per me.
Ne
amo tutto: la melodia, la storia, le parole.
Mi
colpiva il fatto che la canzone sembrasse fatta di immagini fugaci, acquerelli
che ci si rivelavano all’improvviso per poi sfumare nel buio, in una sequenza
sconosciuta e meravigliosa cullata dalle note degli strumenti, che sembrava più
una ninnananna a colori che una canzone vera e propria.
Da
bambina feci un disegno che ritraeva la protagonista: una ragazza con un corto
vestito arancione, una chioma corvina di riccioli bruni che piangeva mentre si
accarezzava il ventre.
Persi
poi di vista quel disegno, e me ne dimenticai.
L’anno
scorso, mentre scorrevo le pagine del blog di famiglia, mi sono ritrovata
davanti a quel disegno infantile, che mia madre aveva pubblicato insieme al
testo della canzone, che con la mia grafia rotonda e traballante di bambina avevo
ricopiato con tanta fatica.
L’ho
riconosciuto immediatamente, e grande è stata la mia sorpresa quando ho capito
che mi immaginavo la ragazza nello stesso modo, a distanza di anni.
Quell’immagine
si era talmente impressa nella mia immaginazione che mi sembrava di aver
vissuto in prima persona gli accadimenti della canzone.
Sono
rimasta colpita dalla coincidenza, e per qualche giorno ci ho riflettuto.
Il
cuore mi suggeriva un’idea che la ragione osservava scettica: scrivere un
racconto su quella canzone che per me significava così tanto.
Finchè,
un giorno, il Sentimento ha preso il sopravvento sulla Ragione, ho preso in
mano la penna, un foglio, mi sono seduta alla mia scrivania e ho iniziato a
scrivere.
Non
c’è nemmeno stato bisogno che riascoltassi il testo.
Scrivere
quel racconto è stata un’esperienza meravigliosa: le parole fluivano dalla mia
penna senza che io dovessi fare nulla, la storia già sul pennino, come una
farfalla che aspettasse solo un cenno della primavera per rompere il bozzolo e
librarsi sopra le nuvole.
Non
ho dovuto fare nulla: la storia si è scritta da sola, come se avessi già dentro
di me quelle parole, quei personaggi, quei luoghi.
Ho
deciso di intitolarlo “Ninnananna di taverna” in onore della strofa della
canzone che mi emoziona sempre di più: «Le strofe di taverna le cantò a
ninnananna…».
Quando
ho terminato il racconto l’ho riscritto in bella copia, poi battuto al computer
e infine l’ho fatto leggere ai miei familiari.
Con
mia grande sorpresa tutti ne sono stati tutti entusiasti all’unanimità: si sono
spinti a dire che fosse la miglior cosa che avessi mai scritto.
Orgogliosa
e felice, ho sistemato il racconto nel mio quaderno e sono andata avanti.
Era
da un po’ che avevo iniziato a inviare racconti a vari concorsi quando ho
trovato il bando di “Socc’mel… che canzone!”.
La
casa editrice Loggione indiceva questo concorso, in cui sarebbero stati
accettati tutti i racconti che avessero come ispirazione una canzone cantata da
cantanti bolognesi.
Luca
Carboni, Gianni Morandi, Raffaella Carrà, Cesare Cremonini, Andrea Mingardi,
Ron… Lucio Dalla.
Il
mio racconto rientrava perfettamente nel tema.
C’era
però un problema, un ostacolo che forse mi avrebbe impedito di partecipare: il
concorso era solamente per adulti.
Così
mia madre ha scritto alla casa editrice e raccontato brevemente la mia storia,
specificando la mia età: ci hanno risposto che non pensavano che a minorenni
potesse interessare l’argomento, ma che sarebbero stati lieti di accettare il
mio racconto, previa autorizzazione firmata dal genitore.
Felice
che avessero detto di sì, ho sistemato gli ultimi dettagli del racconto e l’ho
inviato.
Credevo
che non sarebbe stato preso in considerazione, dato il fatto che il concorso
stava avendo una grande affluenza, da persone provenienti da tutta Italia.
È
passato qualche mese, ormai pensavo che il mio racconto fosse stato scartato.
E
invece, un giorno, nella posta elettronica abbiamo trovato una e-mail della
Loggione: mi comunicava che il mio racconto, “Ninnananna di taverna”, era stato
scelto per essere inserito nell’antologia del concorso.
Ciò
significava che ero arrivata fra i primi posti!
Non
potevo crederci.
Ero
così emozionata... era un sogno che si realizzava!
Nella
mail era altresì comunicata la data della premiazione: 03 febbraio 2018.
Euforica,
ho segnato mentalmente quella data in cima alla lista delle cose più importanti
da ricordare e ho atteso: mancavano ancora tre mesi al giorno indicato.
I
giorni sono passati, seguiti a ruota dalle settimane e dai mesi, che si
rincorrevano instancabilmente uno dopo l’altro.
È
giunto così, senza che quasi me ne accorgessi, il 3 di febbraio.
Quel
pomeriggio, mentre percorrevamo in automobile i chilometri che ci separavano
dal luogo prescelto per la premiazione, il cuore mi martellava forte nel petto.
Ero
così eccitata… non vedevo l’ora di arrivare.
Giunti
alla Casa della Cultura abbiamo comprato l’antologia in cui era racchiusa anche
la mia opera, e mi sono presentata.
Le
due donne dietro la bancarella che vendeva i volumi si sono scambiate un’occhiata
indecifrabile, poi i loro volti si sono aperti in sorrisi smaglianti.
“Ah,
sei tu!” ha esclamato una stringendomi la mano “Complimenti, veramente,
bravissima!”.
Anche
l’altra, raggiante, mi ha stretto la mano e si è congratulata.
Io ho
stretto loro educatamente le mani, ho sorriso, un po’ frastornata e molto felice.
Pensavo
che la loro reazione fosse dovuta a una specie di tenerezza materna nei miei
confronti, nel vedermi “piccina” in un ambiente di adulti, e non alla posizione
che avevo raggiunto nella classifica.
Il
pensiero non mi sfiorava nemmeno.
Con
il cuore in gola per l’emozione, mi sono accomodata fra le prime file, con mia
madre e mia nonna Raffaella ai lati e il resto della mia famiglia alle spalle.
Mentre
aspettavamo l’inizio dell’evento ho sentito accenti e calate provenienti da
parti d’Italia di cui avevo letto solo nei miei libri: gli accenti secchi della
Puglia, quelli gutturali della Sardegna, la calata quasi esotica dei Siciliani,
la lingua pulita dei Toscani, la cadenza particolare dei torinesi, quella
celebre dei milanesi, la lunga, monotona litania dei Veneti, l’accento pungente
dei trentini, quello inconfondibile della Valle D’Aosta, che alle R rotolanti
dei francesi unisce il suono duro e pungente dei dialetti alpini parlati dalle
minoranze etniche.
E
poi, con il suo suono a me così familiare e rassicurante, il dialetto parlato
nella mia città, Bologna, con le sue S che si sciolgono sulla punta della
lingua come burro tiepido e quelle parole che alcuni definiscono “storpiate” ma
che per me significano semplicemente casa.
Dopo
questa immersione nell’Italia in tutte le sue molteplici sfaccettature, la premiazione
è iniziata.
Il presentatore,
un uomo simpatico di mezza età, ha fatto vedere un video proiettato sul
maxischermo alla parete alle sue spalle, nel quale gente comune cantava canzoni
di cantanti bolognesi.
L’uomo
scherzava e rideva, continuando a ripetere che era come se avessimo vinto
tutti, e mi ha messa a mio agio.
La
segretaria ha poi spiegato la modalità con cui erano stati scelti i racconti
inseriti nell’antologia: degli oltre centocinquanta racconti inviati ne era
stato scelto soltanto un terzo da una giuria di esperti.
Quindi
io e le persone provenienti da tutte le zone d’Italia che affollavano la sala
eravamo i migliori cinquanta.
Mentre
la segretaria lo spiegava ho sentito il cuore battere un po’ più veloce e il
respiro farsi più corto.
All’evento
era presente anche una cantante di nome Silvia, una donna esile sulla
quarantina con una nuvola di ricci vaporosi e una bella voce argentina.
Dopo
che il presentatore, la segretaria e la cantante si sono presentati è iniziata
la premiazione vera e propria.
A
dieci a dieci hanno chiamato sul palco tutti gli autori, chiedendo ad alcuni di
loro di spiegare il loro racconto o la scelta della canzone che lo aveva
ispirato.
Le
canzoni scelte erano le più diverse e disparate: andavano da Mare Mare
di Luca Carboni ad Anna e Marco
di Lucio Dalla; da Nuova stella di Broadway di Cesare
Cremonini a Noi puffi siam così di Cristina D’Avena; da A io’
vest un marziàn di Andrea
Mingardi a Uno su mille di Gianni
Morandi.
L’atmosfera
è stata ulteriormente alleggerita dalle canzoni di cantanti bolognesi cantate,
qua e là, per ravvivare la serata.
La
musica, si sa, scioglie sempre la tensione.
A
tutti quelli chiamati è stata consegnata una medaglia dentro una piccola
scatola di cartone blu.
Mano
a mano che venivano chiamati gli autori, il mio nome non veniva pronunciato.
All’inizio
ho pensato semplicemente che la prossima sarei stata io, che al turno successivo
anche il mio nome sarebbe stato chiamato, ma le file scorrevano davanti ai miei
occhi e ciò non accadeva.
Il
presentatore ha annunciato il podio.
Il
mio cuore ha iniziato a battere più forte.
I
terzi classificati sono stati chiamati e sono state loro consegnate le
medaglie.
Del
mio nome nessuna traccia.
Sono
giunti i secondi classificati.
Sono
stati elogiati e se ne sono andati.
Ancora
nulla.
Ero
confusa: non capivo perché nessuno mi avesse ancora chiamata.
Mi
aspettavo che mi dessero una medaglia per essere la concorrente più giovane in
gara, ma sul tavolo dei premi non rimaneva più nulla a parte una scatola, una
sola, blu.
Alla
fine sono arrivata a pensare che si fossero completamente dimenticati di me.
Mi
guardavo intorno e vedevo negli occhi di mia madre uno scintillio che si faceva
eco della sensazione simile a farfalle nello stomaco che sentivo anch’io.
Tensione
ed emozione si mescolavano nelle mie vene, un cocktail esplosivo che mi faceva
sentire come una bolla di sapone in una giornata di vento.
Non
riuscivo a capire il perché di quello sfavillare negli occhi della mamma.
Finchè
d’un tratto, all’improvviso, la cantante non ha iniziato a cantare l’ultima
canzone della serata.
Era
“4/3/1943” di Lucio Dalla.
Non
so se la canzone abbia sciolto la mia tensione o l’abbia accresciuta.
Perché
se cantavano quella canzone… forse voleva dire che… che… che io… io…?
La
canzone è finita: “E ancora adesso che gioco a carte e bevo vino per la gente
del porto mi chiamo… Gesù Bambino…”.
L’ultima
strofa ha vibrato nell’aria, insieme alla manciata finale di note e al battito
del mio cuore impazzito.
Per
qualche istante, silenzio.
Il
presentatore ha attaccato: “Questo è un racconto bellissimo, io l’ho letto e mi
è piaciuto moltissimo. Scusate, ma voglio spenderci due parole. O meglio, non è
un racconto… è una ninnananna”.
A
quelle parole, tutto intorno a me si è fermato: il mio cuore, il mio respiro,
il sangue nelle mie vene, il brusio delle gente, il vociare delle persone, il
ticchettio di un orologio, da qualche parte.
Il
Tempo si è cristallizzato insieme a quella frase, quella frase che rimaneva
sospesa nell’aria come un profumo restio a svanire.
Credo
che, per una manciata di secondi, il mondo abbia smesso di girare sul suo asse.
Poi,
quando ha ricominciato a ingranare, tutto era rapidissimo, vorticoso,
frenetico, un turbine che rischiava di travolgermi.
Il
cuore ha preso a martellarmi impazzito nel petto, lo sentivo pulsare ovunque,
ovunque, ovunque, batteva, batteva, batteva, non si fermava più, più.
Sentivo
il sangue scorrere velocissimo nelle vene, galopparmi nel corpo come un puledro
imbizzarrito e scrosciarmi nelle orecchie, coprendo gli altri suoni.
Il
fiato mi si rompeva in gola, lasciando uscire solo respiri spezzati
dall’emozione.
Mi
sentivo come se il mio corpo si fosse tramutato in uno strumento invisibile,
come se corde troppe tese di violino si stessero per lacerare dall’incredulità
e dalla felicità al centro del mio petto.
Mi
sono portata istintivamente una mano al petto, sentivo il cuore pulsare ferocemente
sotto il palmo, palpitare in gola, come una spugna calda e morbida.
Mi
sono guardata intorno, con gli occhi sgranati e lo sguardo smarrito.
Mentre
mia madre mi abbracciava e si chinava su di me a sussurrarmi quanto fosse
orgogliosa di me, ho realizzato l’enormità di quello che mi stava accadendo.
Non
potevo crederci!
Ero
la prima, ero la prima davvero!
Avevo
vinto il concorso!
Ero
frastornata e confusa ma, oh, così felice!
Il
conduttore ha ripreso a parlare: “Pensate, l’autrice ha quarantadue anni meno
trenta. Adesso vorrei chiedere a Silvia di leggere un brano del racconto
perché, secondo me, rimarrete sorpresi”.
Detto
questo la donna ha preso il plico di fogli del mio racconto, ha inforcato gli
occhiali e iniziato a leggere.
Ha
letto la prima mezza pagina, dopodiché il presentatore ha applaudito, seguito a
ruota da tutto il pubblico.
“Dodici
anni, signori, dodici anni! Vieni, dove sei?” ha domandato, cercandomi fra il
pubblico con lo sguardo.
A
quel punto, con il cuore in gola dall’emozione e dalla gioia, mi sono alzata a
mi sono diretta verso il palco.
Ero
così ebbra di felicità che non ho notato un gradino e sono quasi caduta.
Sono
salita sul palco e, una volta al centro sotto i riflettori, ho guardato giù.
Come
sembrava piccolo eppure temibile il pubblico, da lassù!
E
come mi sentivo piccina eppure enorme, da lì!
Era
una sensazione così strana…
Le
leggi che regolavano il mondo normale si capovolgevano: era una realtà in cui
anche una normale ragazzina come me, considerata “stramba” per il suo amore illimitato
per i libri e le parole, poteva vincere un concorso nazionale e parlare su un
palco con un pubblico a guardarla e ascoltarla.
Com’era
strano il mondo, visto da lì!
I
visi si confondevano, anche le figure care dei miei familiari sfumavano
nell’ombra, confondendosi nella moltitudine.
Dopo
la foto di rito con la segretaria il presentatore mi ha domandato: “Dimmi, come
mai hai scelto proprio questa canzone, una canzone con questi contenuti,
soprattutto?”.
Ed io
ho risposto semplicemente la verità, ovvero tutto quello che ho scritto in
questo tema finora.
Quando
ho terminato, la donna mi ha messo fra le mani una scatola rettangolare di
spesso cartone blu, grande più o meno come una scatola di cioccolatini.
Ho
sollevato il coperchio e mi si è mozzato il fiato: dentro c’era una targa
rotonda di vetro fissata a una base blu dello stesso materiale, con sopra
impresse le parole:
Edizioni del Loggione
1° PREMIO CONCORSO DI LETTERATURA
SÓCC’MEL… che canzone!
Margherita S
4/3/1943: NINNANANNA DI TAVERNA
Mi hanno scattato una fotografia in cui mostravo
la medaglia nella scatola all’obbiettivo, poi l’ho richiusa con cura e l’ho
stretta fra le mani così forte che mi sono diventate bianche le nocche.
Dopo di ciò il conduttore mi ha fatto sinceri
complimenti per la mia bravura e il mio talento, si è detto orgoglioso di avere
una nuova generazione di scrittori, ha detto che sperava di rivedermi l’anno
prossimo e che dovevo abituarmi alle foto ufficiali, perché ce ne sarebbero
state di sicuro molte altre.
Io ho ringraziato, con un nodo alla gola, e sono
scesa dal palco, tornando al mio posto.
Le reazioni dei miei familiari sono state molto
diverse: mia madre sorrideva orgogliosa e felice; mia nonna Raffaella era
incredula; mio nonno Luigi un po’ batteva le mani, un po’ rideva, un po’ si
asciugava le lacrime; mio zio Giuseppe riguardava sul suo telefonino il video
che mi aveva appena fatto; mia nonna Patrizia piangeva a dirotto, sorridendo e
tamponandosi con un fazzoletto le lacrime che scioglievano il trucco, mentre i
miei fratelli saltellavano e si sbracciavano per mostrare quanto fossero
felici.
A ciò è seguita la consegna dei diplomi, premi
minori per chi ancora non era stato chiamato.
Alla fine la cantante ha cantato una canzone di
Andrea Mingardi che recava lo stesso nome del concorso, ma io ero troppo
emozionata e disorientata per cantare o anche solo per parlare.
Alla parte di me incredibilmente, indicibilmente,
indescrivibilmente felice si contrapponeva la parte incredula, che non riusciva
a credere a ciò che mi era appena accaduto.
Ero così grata di avere avuto un’opportunità del
genere nella mia vita.
Avevo provato emozioni così forti e travolgenti
che non pensavo potessero esistere.
Alla fine, dopo la conclusione, c’è stato un
buffet.
Mentre ero in fila in attesa del mio turno molte
persone sono venute a salutarmi, a congratularsi con me, a scambiare due parole
gentili o semplicemente a stringermi la mano.
Sono stata così orgogliosa quando uno degli
autori è venuto da me a complimentarsi per il risultato raggiunto!
Ovunque mi girassi vedevo persone gentili che mi
sorridevano, esclamavano, mi volevano parlare e salutare.
È stato meraviglioso.
Mi sono sentita unica, speciale, come se
possedessi un talento che avrebbe potuto condurmi alla felicità.
Dopo poco abbiamo deciso di tornare a casa.
Ho salutato la segretaria e il presentatore, le
signore gentili della bancarella e siamo usciti.
Fuori cadeva una pioggia fredda e sottile, che
tamburellava delicatamente sull’ombrello e contro i vetri delle macchine.
Il cielo era grigio, facendo da sfondo alle gocce
di pioggia che cadevano l’una dopo l’altra.
Siamo saliti in macchina e partiti per ritornare
a casa.
Guardavo fuori dal finestrino e pensavo che
nemmeno la pioggia avrebbe potuto cancellare la mia felicità.
Mi sentivo ancora le guance scottare dalla gioia.
Fuori sfilava la campagna, e la pioggia
ticchettava lievemente contro il vetro.
Mi ero creata un ricordo che non avrei scordato
mai più, e che mi avrebbe accompagnata per il resto della vita.
Stringevo ancora fra le mani la scatola di
cartone blu.
La aprii e guardai la targa, facendoci scorrere
sopra le dita, in una lunga carezza.
Pensai che le persone fanno tanto rumore per
nulla, per l’Amore come lo intendono i poeti, l’amore che porta al fidanzamento
e poi al matrimonio, quando esistono tanti tipi d’amore, e ognuno è unico.
Si dice che, quando si è innamorati, si sentano
le farfalle nello stomaco.
Anche se non ero innamorata, o almeno non nel
senso dell’amore di cui ho parlato prima, io quel giorno le avevo sentite, le
farfalle nello stomaco, nette all’altezza dell’addome, ed era stato come avere
un bouquet di palloncini colorati che si libravano verso il cielo azzurro
dentro di me.
In fondo, a pensarci bene, io ero innamorata.
Ero innamorata delle parole
E lo sarei stata per sempre.
Una doverosissima segnalazione: il primo premio non è stato solo di Margherita, ma un ex aequo
Vincitori 1° premio
"Kill Gianni" di Michel Minghetti
"Uomini" di Valentino Poppi
"Ninna nanna di taverna" di Margherita S
"Kill Gianni" di Michel Minghetti
"Uomini" di Valentino Poppi
"Ninna nanna di taverna" di Margherita S
Concludo con l'incipit del racconto di Margherita, direttamente dal libro
.
Mamma mia quante emozioni e quanta gioia. Che bello!!! Davvero complimenti Margherita. Sei una ragazza splendida
RispondiEliminaMargherita sei una ragazza unica e speciale! Penso che dovrai abituarti alle medaglie, alle farfalle nello stomaco e a godere del tuo talento!!!
RispondiEliminaMargherita!
RispondiEliminaNon riesco a smettere di piangere per l'emozione!
Hai raccontato così bene le tue emozioni che mi sembrava davvero di essere lì con te!
Brava! Bravissima!
E ti auguro con tutto il cuore di coltivare per sempre l'amore per le parole.
Attraverso le parole si possono fare grandi cose!
Un abbraccio a te e alla tua meravigliosa famiglia!
Bravissima Margherita, siamo orgogliosi di te.
RispondiEliminaContinua ad esplorare il tuo potenziale e a vivere tutte le emizioni che nascono.
Ti abbracciamo Chiara e cuccioli
Grazie, grazie di cuore a tutti voi!
RispondiEliminaL'amore e l'affetto che mi trasmettete sono impagabili.
Grazie per l'incoraggiamento, e per credere sempre in me, anche quando va male.
Non riuscirò mai a ringraziarvi abbastanza.
Condividere le mie emozioni con voi è sempre bellissimo.
Con gratitudine e affetto,
Margherita:)