Come sempre, anche le nostre vacanze di quest'anno si sono profondamente intrecciate con l'attività didattica dei bambini, in parte proposta da me, in gran parte sgorgata da loro tramite le loro curiosità, le loro richieste su cosa andare a vedere, la loro voglia di capire ed approfondire, di documentarsi, così come quella di creare ed inventare.
E' difficile documentare qui tutto questo fermento, questa fusione tra vita e apprendimento: procederò, quindi, in ordine cronologico, mostrandovi quello che abbiamo fatto in ordine di tempo (nel lasso di pochi giorni, due settimane circa: pochi prima della partenza, una settimana in montagna e pochi dopo il ritorno).
LE "LEZIONI"
Le mie proposte sono state, ovviamente, diversificate per età, classe scolastica e caratteristiche individuali.
Alcuni argomenti erano già stati pubblicati anni fa, perchè utilizzati con le bimbe più grandi; per Margherita e Camilla, invece, ho preparato tutto negli ultimi tempi.
TOMMASO ha "letto" e colorato un semplice libretto sulla montagna, che abbiamo trasformato in disegni da colorare.
Il Cagnolino Bubi e La Montagna by bimbifeliciacasa on Scribd
GIOVANNI ha studiato l'ambiente-montagna:
La Montagna by bimbifeliciacasa on Scribd
Quando Giovanni è andato a descrivere il mese di Luglio personificato - come quest'anno sta facendo per ogni mese - ha pensato ad un Luglio montanaro:
Camilla e Mariangela hanno studiato la regione Trentino Alto Adige; ecco il testo preparato da me e utilizzato da Mariangela:
Trentino Alto Adige by bimbifeliciacasa on Scribd
Qui sotto, le varie pagine colorate da lei, giorno dopo giorno, un po' a casa e un po' in montagna.
Margherita, dal canto suo, ha inaugurato lo studio degli stati europei con l'Austria.
Subito dopo aver parlato delle bellezze di questi territori, Margherita e Mariangela hanno avuto l'idea di inventare e scrivere racconti o leggende "a tema", su quello che più le aveva intrigate.
Margherita - Invento
un racconto
IL TETTO D’ORO DI INNSBRUCK
Era il 1476. Maria di Borgogna stava tornando alla sua villa
dopo una passeggiata nei prati che circondavano la tenuta. Era figlia di Carlo
I di Borgogna ed Isabella di Borbone e aveva passato l’infanzia a Gand, nelle
Fiandre, dove era stata una bambina serena e libera dalle rigide regole di
corte e, a differenza delle altre nobildonne, aveva imparato l’arte della
caccia. A soli cinque anni, la bimba aveva già ricevuto una proposta di
matrimonio, quella di Ferdinando, l’erede al trono d’Aragona. Ad otto anni,
sfortunatamente, Maria era rimasta orfana di madre e il padre aveva cominciato
a farle fare vita pubblica come futura erede della dinastia di Borgogna, e si
era risposato con Margherita di York, sorella del re d’Inghilterra Edoardo IV, quando
lei aveva undici anni. Maria si era affezionata a Margherita.
La ragazza si sedette accanto al camino acceso e si appoggiò
uno dei gattini della nuova cucciolata sulle ginocchia. Il cucciolo si acciambellò
e cominciò a fare rumorosamente le fusa, mentre in una poltrona vicino a lei
sedeva Filippa, la sua cameriera personale. Maria guardava assorta fuori da una
delle finestre, che aveva i vetri, cosa rara all’epoca dato che erano
immensamente costosi e solitamente si usavano teli incatramati o rivestiti di
cera. Il camino crepitava in modo straziante e le fiamme proiettavano ombre
danzanti sul volto di Maria.
“State bene, duchessina?” domandò la serva.
“Grazie Filippa. Mi sento bene, ma la cavalcata mi ha stancata
e vorrei riposare. Mi accompagneresti nella mia stanza?” rispose con grazia.
“Certamente”.
Così Maria si alzò e, salendo l’ampia scalinata che portava
al piano superiore e quindi alla sua camera, la fedele Filippa le stava accanto.
Era una donna non molto alta e prosperosa, anziana sui sessant’anni, con i
capelli grigio argento raccolti sotto una cuffia da cameriera e gli occhi
scuri, antichissimi. Era stata anche la sua balia e spesso le diceva di
conoscerla anche meglio di suo padre, perché l’aveva vista lei per prima,
avendo assistito al parto della madre defunta.
Maria riposò. Nel tardo pomeriggio ricamò, lesse e studiò,
seguita da Alcuino, il suo maestro. Egli si presentava sempre molto elegante.
La sera, dopo la cena, Maria fu accompagnata in camera.
Filippa la fece sedere su uno sgabello e le sciolse l’acconciatura.
Lo specchio davanti a Maria rifletté l’immagine di una giovinetta di soli
diciannove anni, non molto alta e dal viso piccino, corporatura minuta, bianca
come la neve, con lunghissimi capelli mossi castani, gli occhi fra il bruno e
l’argento, un nasino piccolo e la bocca piena, ma pura e rossa. Poi, come, erano solite fare
ogni sera e ogni mattina da quando Maria aveva compiuto otto anni, Filippa
prese la preziosa spazzola d’oro e cominciò a pettinare i sottilissimi capelli
della sua giovane padrona. Cento colpi di spazzola, come voleva la tradizione.
“Secondo te mi sposerò mai con l’uomo che amo?” chiese d’un
tratto la giovane.
“Certo, cosa mai andate dicendo?” chiese stranita la donna,
continuando a spazzolare.
Novantacinque, novantasei, novantasette colpi di spazzola.
“Niente, Filippa, niente… E’ che a volte penso che mi si
prospetti davanti un futuro infelice accanto a un uomo che non amo… in fondo
non è un timore tanto infondato, no? Soprattutto alla mia età. La maggior parte
delle donne non ama il proprio marito.” mormorò Maria, i begli occhi
leggermente rabbuiati sul fondo.
La serva non rispose.
“Non vi preoccupate, e vedrete che tutto si sistemerà per il
meglio”.
“Grazie…”.
Novantotto, novantanove, cento.
“Ecco, ho finito di spazzolarvi i capelli. Adesso abbiate la
bontà di aspettare un altro attimo, che scendo a prendere il necessario per
scaldare il materasso.” disse infine l’altra.
Filippa si dileguò rapidamente e tornò poco dopo con un pentolino pieno
di acqua bollente, che passò sul materasso.
Maria si coricò e avvolse il proprio corpo nella coperta.
“Buonanotte, signorina” disse Filippa strappandola ai suoi
pensieri.
“Buonanotte Filippa” rispose lei.
“Con permesso” fece la serva inchinandosi profondamente e
scomparendo dietro al pesante portone.
Maria, ora, era sola nella grande stanza.
Le parole di Filippa l’avevano in parte rassicurata, ma una
parte di lei sapeva che non aveva grandi speranze. A dir la verità non era nemmeno
sicura che l’amore vero esistesse sul serio.
Si rigirò nel letto, leggermente inquieta. Avvertiva sulla
pelle il calore del materasso scaldato da Filippa, ma, stranamente, aveva
freddo.
Rabbrividì sotto la coperta di seta e si addormentò con
pensieri poco rassicuranti.
***
Maria non sapeva che i suoi pensieri sarebbero stati una
sorta di presentimento.
Infatti il padre, quella mattina appena dopo l’ora della
colazione, volle vederla.
Non succedeva spesso, le donne all’epoca erano costantemente
sottomesse all’autorità maschile e recluse nelle stanze considerate meno
“pericolose”.
Non che a Maria andasse bene, si era sempre ribellata, ma
ormai non era più abituata all’attenzione del padre.
Carlo I di Borgogna era un uomo di bell’aspetto e magnanimo,
anche se era conosciuto come una persona violenta.
“Salve, padre” disse Maria inchinandosi solo leggermente.
“Buongiorno, figliola. Oggi ti ho convocata qui per
discutere di una questione alquanto importante e a cui tenevo che foste
presente. Perchè, vedi, si tratta del tuo matrimonio.” disse il padre con voce
grave.
Il sangue blu nelle vene di Maria si gelò di colpo.
Sentì il freddo risalirle le gambe, diramarsi per le vene e
il sangue rallentare i flusso e agghiacciarsi.
“Cosa avete detto?” domandò lentamente, come se non avesse
capito bene.
“Che voglio parlarti del tuo matrimonio.” ripeté con nervosismo
in padre “Ma nemmeno ti interessa sapere chi sarà il tuo futuro sposo?” chiese
alla figlia con un tono irridente nella voce.
“Si” mormorò appena Maria, con le bella fronte perlacea
aggrottata.
“Ebbene, ti darò in sposa a Carlo di Francia!” disse l’uomo
“Ormai sei già abbastanza adulta per sposarti, aspettare oltre è inammissibile.
Nessuno ti vorrà più, altrimenti.” finì.
“Cosa andate dicendo, padre? Io e Carlo siamo in un qualche
modo parenti, non ci sposeremo mai!” sbottò la ragazza.
“Maria, non ti permetto di parlare così a tuo padre!” la
rimproverò duramente “Comunque, se è soltanto la consanguineità che ti
preoccupa, chiederemo una licenza al papa. Accetterà, vedrai.” .
“Voi non avete capito: io non mi sposo con nessuno! E non mi
importa se non mi vorranno più. Sposerò soltanto colui che amo.”.
“Sì, invece, che ti sposerai. Ho già organizzato tutto. Ti
porterò fra tre giorni esatti a conoscere Carlo di Francia e, che ti piaccia o
no, tu lo sposerai. Comunque non è affar mio che tu ami o no tuo marito” fece
Carlo con un sorriso sottile e beffardo.
“Non potete costringermi.” gli rispose in tono di sfida
Maria
“Non ho chiesto un tuo parere, ti ho convocata solo e
unicamente per comunicarti una decisione che ho già preso. Sarò irremovibile, E
con questo torna nella tua stanza! Ma sappi che basterà un’altra offesa così e
finirai in un convento, Maria”.
Maria voleva replicare che nemmeno in convento avrebbero potuto
reprimere il suo desiderio di essere amata davvero, ma due uomini la presero e
la ricondussero in camera sua.
Chiese anche a Filippa di uscire dalla sua stanza, cosa che
non faceva mai, chiuse la porta e si buttò sul letto.
Lacrime salate scorrevano sulle sue guance di vetro,
singhiozzi sommessi e singulti le scuotevano il petto e le labbra.
Si rincantucciò in un angolo e pianse. Si sciolse
l’acconciatura da sola, le ciocche castane le contornavano il viso in onde minute.
Restò lì per tutto il resto della giornata, non si mosse
dalla sua stanza.
Lentamente smise di piangere e cominciò a pensare al suo
triste destino e alla parole taglienti del padre. Per le cose che gli aveva
detto era stata fortunata a non essere realmente chiusa in un convento all’estero.
Verso l’ora di pranzo, Filippa venne da lei, bussando
timidamente. Portava con sé una scodella con del brodo caldo e delle molliche
di pane dentro.
Si sedette sul letto vicino a lei, e le porse il cucchiaio
ricolmo di minestra.
“Avanti, solo un boccone tesoro” la esortò Filippa supplichevole.
“No grazie, non ho fame” fu la
risposta di Maria.
Guardava fisso davanti a sé, nel vuoto.
“Almeno un paio di cucchiaiate, vi farà bene.”.
“Ho detto che non ho fame.”
“Ma qualcosa dovrete pure mangiare. Siete già esile e
delicata, vi ammalerete senza toccare cibo. Se proprio non volete assaggiare
questa minestra, allora mangiate come minimo un po’ di questa uva fragola.” le
disse Filippa porgendole un grappolino di uva livida e dagli acini opachi.
"Nemmeno l’uva fragola mi va. Almeno per mangiare potrò
decidere io, no? O nemmeno questo mi è concesso
di scegliere in autonomia?”.
Le dispiaceva essere scortese con Filippa, ma lei non voleva
mangiare e non avrebbe mangiato.
“Io… io vi lascio la zuppa qui sul vassoio con la frutta,
così… così se avete fame potete mangiare.” balbettò rassegnata la serva e uscì
con un piccolo inchino ossequioso.
La scena si ripeté a cena e poi tutti i due giorni
successivi.
Maria non toccava cibo da tre giorni quando giunse la
mattina della visita a Carlo di Francia. Era esile come un fuscello piegato dal
vento, più pallida del normale, con gli occhi leggermente lucidi e le labbra
esangui.
Eppure, seppur di aspetto vagamente sofferente, conservava
tutto il suo giovane e sfolgorante splendore, che anzi il pallore lunare
accentuava di più.
Filippa la svegliò all’alba, quando una striscia di luce
lattiginosa tingeva appena il bruno slavato del cielo fiocamente illuminato.
Le lavò il corpo soffice con unguenti profumati, la vestì
con il migliore dei suoi abiti sfarzosi e le acconciò sublimemente i capelli.
Quando uscì dal palazzo e salì sulla carrozza indossava un
abito di pesante velluto verde sottobosco con ricami più intensi sulla
superficie, le maniche lunghe e la gonna bordate di seta color grigio perla e
sul capo, a coprire l’intricata acconciatura fermata da una spilla a forma di
fiore smaltato, un velo ornato da un nastro verde.
Con lei venne naturalmente il padre, raggiante, e, con
grande sollievo di Maria, Filippa in vece di dama di compagnia. Maria era scura
in volto e guardava costantemente fuori dal finestrino, di modo da non degnare
il padre nemmeno della più casuale delle occhiate.
Il viaggio era abbastanza lungo e le occupò gran parte della
mattinata.
Giunta al palazzo, dovettero attraversare il cortile
interno.
Fu proprio all’imbocco di quest’ultimo che Maria incontrò
Massimiliano I d’Asburgo.
Essendo l’erede al trono d’Asburgo e un caro amico di Carlo
di Francia era stato invitato a palazzo per quel giorno. Allorché vide Maria
rimase folgorato dalla sua bellezza e le venne incontro, presentandosi e
porgendole il braccio, occupando così il posto alla povera Filippa. Anche Maria
rimase colpita dal giovane, che avrà avuto all’incirca la sua età ed era alto,
dal portamento nobile e i lineamenti aristocratici e piacevoli, con i capelli
chiari lunghi fino alla base del mento, il naso leggermente aquilino, gli occhi
lucenti e il più galante sorriso che Maria avesse mai visto.
In un grande salone, Carlo li aspettava.
A Maria non fece una buona impressione. Era un giovane
altero, sprezzante e spocchioso, di aspetto tutt’altro che gradevole ma, come
il padre rimarcava in continuazione, di squisita e impeccabile educazione.
Resistette al colloquio durato tutto l’intero pomeriggio
(compreso un suntuoso pasto) soltanto perché vi assistette Massimiliano, che
lanciava alla ragazza brevi e fugaci occhiate, prontamente ricambiate.
A fine giornata, già risaliti in carrozza da un po’, il
padre le domandò: “Come vi è sembrato Carlo, figliuola mia?”.
“Beh… direi… educato” si costrinse di rispondere Maria, a
cui dopo aver conosciuto Massimiliano finire in convento sembrava la più grave delle disgrazie possibili.
“E che ne dite se andassimo a trovarlo spesso, prima del
vostro matrimonio?” azzardò lui.
“Oh, mi sembra un’idea splendida padre. Sono pienamente
d’accordo con voi” rispose con entusiasmo forzato. In realtà il pensiero di
quel giovane insopportabile e noioso le dava il voltastomaco, figuratevi
vederlo spesso, ma in cuor suo sperava che anche ai loro prossimi appuntamenti
sarebbe stato presente Massimiliano. Soltanto aggrappata a questa speranza
sottile aveva potuto accettare. E così si videro frequentemente, due volte al
mese per sei mesi interi, alternatamente a casa dell’uno o dell’altra.
Come sperava Maria, tutte le volte che gli appuntamenti si
svolgevano a casa di Carlo, Massimiliano fu presente. Conoscendo meglio i due
ragazzi, in Maria si acuì il disgusto nei confronti di Carlo, mentre invece
spaziava l’amore per Massimiliano, ricambiato senza alcun dubbio. Lui, ogni
volta, le porgeva il braccio e guardava con occhi colmi d’amore quella
ragazzina giovanissima e bianca come la neve.
Anche Carlo cercava
di corteggiarla, ma ad ogni tentativo di avvicinarsi, Maria si irrigidiva e si
allontanava velocemente con la scusa di avere moltissima sete.
Da quando Maria aveva conosciuto Massimiliano aveva
ricominciato a mangiare con appetito e le sue gote erano più rosse e piene.
Il padre era molto felice, pensando che il rinnovato
interesse verso il cibo della figlia fosse dovuto all’amore per Carlo. Si
trattava infatti di amore, ma non certo per Carlo, quanto per l’erede al trono
d’Asburgo.
Dopo i mesi dovuti per il fidanzamento, venne il momento per
il padre di Maria di andare a chiedere il permesso al papa per il matrimonio
anche in presenza di consanguineità fra i futuri coniugi.
Il papa, però, non accettò la richiesta, con immensi sdegno
e disperazione da parte di Carlo padre.
Così, il giorno stesso, convocò nuovamente la figlia, come
aveva già fatto molti mesi addietro.
“Figliuola mia cara, Maria, ora devo darti purtroppo la
peggiore delle notizie.” le annunciò con voce lugubre “Una notizia che a darti
mi duole il cuore”.
Sembrava così stanco e affaticato che Maria cominciò a
temere il peggio.
“Padre, non tenetemi così in pena. Ditemi: che mai è
accaduto di così terribile da spezzarvi la voce? Siamo forse caduti in
povertà?” gli domandò con apprensione.
“No, nulla di tutto ciò. La nostra famiglia è ancora ricca e
prestigiosa. Ebbene, oggi stesso sono andato a parlare col papa per avere la
licenza della consanguineità che, come sai, ci è indispensabile per celebrare
il matrimonio fra te e Carlo di Francia. Ecco… il papa non ha acconsentito!
Questo è il più grave insulto per la nostra famiglia. I Borgogna sono sempre stati fedeli al papa e
non aveva alcun motivo valido per non acconsentire al vostro matrimonio. Un
matrimonio d’amore, per di più!” si accalorò lui.
“Padre, mi spiace ma quello fra me e Carlo non sarebbe
affatto stato un matrimonio d’amore. E comunque non si può più celebrare, no?
Il passato è passato e non pensiamoci più.” disse Maria, a cui brillavano gli
occhi al pensiero di non poter più sposare quello spocchioso.
Lui non rispose nulla, piegò il collo da un lato e sospirò
profondamente.
Qualche giorno dopo andarono a rompere definitivamente il
fidanzamento con Carlo di Francia e naturalmente era presente anche
Massimiliano.
Ad un certo punto fece a Maria un segno con la mano, che
significava “Devo parlarvi”.
Maria, allora, con la scusa di “avere una forte emicrania”
uscì, seguita a ruota da Massimiliano che, disse, doveva andare a bere un sorso
d’acqua.
Si ritrovarono sotto il faggio secolare nel lato Ovest del
giardino.
“Maria… io devo dirvi una cosa.” cominciò lui insicuro “Io
vi ho osservata molto e attentamente e ho capito una cosa: io vi amo. Vi ho
amata fin dal primo momento che
vi ho vista. Con la
vostra pelle bianca, le labbra rosse, gli occhi bruno-argento e i capelli, oh,
così lunghi. Sono venuto ad ogni incontro solo per vedere voi, Maria. E so che
siete fidanzata con Carlo, che è un mio caro amico, ma purtroppo rivale in
amore. Non vi chiedo niente, ma volevo farvi sapere dei miei sentimenti” finì
lui. Si era inginocchiato ai suoi piedi e la guardava dal basso, con gli occhi
umidi di lacrime.
“Io… anch’io vi amo. Vi ho amato dalla prima volta che mi
avete porto il braccio, ho amato il vostro sorriso e il vostro modo di
alleggerire l’atmosfera durante gli incontri con Carlo. E vi confesso che è
soltanto per merito vostro se ho sopportato tutti questi incontri col vostro
amico, perché senza di voi non avrei retto. Ebbene, non devo più sposarmi con
Carlo! Il papa non ha acconsentito al nostro matrimonio, essendo lontani
parenti!” cinguettò Maria con voce d’angelo, commossa.
“Oh Maria, notizia più bella non potevate darmi! Ora nulla
ostacolerà il nostro amore! E, se naturalmente sarete d’accordo, vi chiederò in
sposa a vostro padre.”.
“Certo che sono d’accordo!”
Lui la sollevò tra le braccia e finalmente la baciò, come
desiderava fare da ormai sei mesi.
Il giorno stesso Massimiliano chiese la sua mano a Carlo di
Borgogna, che, per lo stupore, acconsentì senza quasi accorgersene. In fondo
era un matrimonio molto vantaggioso e sua figlia era felice, perché dire di no?
Il matrimonio venne celebrato nel 1477 e fu un matrimonio
breve ma molto felice, dal quale nacquero Filippo I di Castiglia (detto in
futuro “Il bello”) e Margherita d’Asburgo.
Il marito era talmente innamorato della moglie che fece
edificare ad Innsbruck, in Austria, un balconcino con il tetto ricoperto da
2.657 tegole e scaglie di rame dorato equivalente a 13,2 chilogrammi.
Il balconcino è largo 16 metri e il tetto ben 3,7 metri,
mentre sul parapetto, in onore dell’amata moglie, fece raffigurare se stesso
accompagnato da Maria.
Ecco, questa è la storia di come fu edificato il tetto d’oro
che ancora oggi troneggia ad Innsbruck.
Margherita - LA LEGGENDA DEL LAGO DI CAREZZA
Questa è una storia che ha inizio in un tempo
molto lontano, in quale periodo di preciso non si sa, quando la Terra era
popolata per lo più da pastori e umili contadini.
In quel periodo, sulle sperdute Dolomiti, viveva
Arcobaleno.
Arcobaleno era una ninfa dei boschi, che viveva
vicino a un lago incastonato fra selve di pini e, sullo sfondo, si potevano
ammirare il Latemar e il Catenaccio.
La particolarità che la contraddistingueva dalle
altre ninfe che popolavano le Dolomiti era il suo aspetto fisico, non tanto la
bellezza che era normale per una giovane ninfa, quanto gli occhi e i capelli:
abbinati a una pelle diafana, aveva un paio di sfolgoranti occhi di un verde
intenso, luminosi e profondi come le acque del lago sulle cui sponde abitava e
i capelli, lunghi da non vederne la fine e divisi in sette, splendenti, colori:
rosso, arancione, giallo, verde, azzurro, blu, indaco. Di giorno, vestita solo
di una corta veste bianca, saltellava per i boschi, aiutando gli animali in difficoltà
e ridendo con gioia, tanto che la sua risata argentina, rimbombando sulle
pareti rocciose delle montagne, riecheggiava in tutto il bosco circostante.
Amava saltare da una cima all’altra dei monti,
così che i suoi lunghissimi capelli colorati formavano un arco variopinto nel
cielo, appunto l’arcobaleno.
Successe che un giorno, però, mentre stava
nuotando nelle acque cristalline del lago senza nome, Arcobaleno vide le onde
incresparsi leggermente e sottili guizzi sotto la superficie. Si inabissò per vedere
chi avesse provocato quei movimenti ma, distratta ad osservare un pesce
particolare, andò a sbattere contro qualcosa, o meglio qualcuno.
Alzò gli occhi per protestare, ma le parole le si
bloccarono in gola: davanti a lei c’era un ragazzo, un bellissimo ragazzo.
“Ehi, guarda dove vai.” disse lui.
“Guarda che non è stata solo colpa mia. Comunque:
come ti chiami?” rispose lei di rimando.
“Aikin” fece lui soffiandosi via il ciuffo dagli
occhi color turchese “Tu?”.
“Arcobaleno” e tornò in superficie per prendere
aria.
I due giovani si conobbero meglio durante il
pomeriggio, parlarono e giocarono tutto il giorno a riva fra i pini.
“Ci vediamo anche domani, vero?”
gli chiese Arcobaleno quando ormai il giorno volgeva al tramonto.
“Ehm… se ti confido un segreto mi prometti di non
dirlo a nessuno?” cominciò lui titubante.
“Certo, non ti preoccupare” lo rassicurò lei.
“Ecco… io non sono un umano. E nemmeno una
creatura terrestre. Io sono un essere acquatico, che vive nelle profondità del
lago. Posso stare fuori dall’acqua solo quando la notte c’è la luna piena nel
cielo. Gli altri giorni posso restare soltanto in acqua, immerso con tutto il
corpo. Funziona così, purtroppo, quando sei una creatura del lago. Ma non ti
preoccupare, non siamo pericolosi e nemmeno siamo esseri demoniaci. Quindi è
per questo che, visto che la luna piena è stanotte, domani non posso vederti e
nemmeno i prossimi giorni, fino al prossimo ciclo di luna piena. Mi spiace
Arcobaleno” le confidò lui.
All’inizio lei sembrò piuttosto sorpresa, ma poi
gli disse: “Certo, capisco. Non fa niente. Se ti va ci vediamo al prossimo
ciclo di luna piena, Aikin.”
“Certo, verrò, te lo prometto”.
Stava per rituffarsi in acqua, quando d’un tratto
si girò e baciò Arcobaleno. Così, di punto in bianco. Gli venne naturale baciare
quella ragazzo dopo solo un pomeriggio che si conoscevano.
Poi si tuffò in acqua col cuore in tumulto, senza
voltarsi indietro.
Arcobaleno restò lì, ferma immobile, finchè non si
rese conto che non era stato un sogno.
Sorrise e si stese sulla riva del lago, dove la
terra era ancora scaldata dal sole e l’erba le fungeva da cuscino.
Poi, con il ricordo delle labbra di Aikin sulle
sue, si addormentò di un sonno dolcissimo.
***
Così passavano i giorni per Arcobaleno ed Aikin
che, separati da diciassette metri d’acqua, si pensavano incessantemente.
Arcobaleno continuava la sua vita da ninfa dei
boschi, aiutando gli animali, e contava i giorni che sarebbero passati prima
che potesse rivedere il suo amore. Sì, perché Arcabaleno ed Aikin si erano innamorati.
Il primo
giorno di luna piena, lei lo aspettò fin dal principio del giorno sulla sponda
e lui arrivò, puntuale, all’alba.
Passarono insieme la giornata e si divertirono
immensamente, per mano fuori e dentro i flutti freschi e trasparenti del lago e
dietro i tronchi argentati dei pini.
Lui venne, puntualmente, a trovare la sua amata ogni
qualvolta sapeva che in cielo ci sarebbe stata la luna piena.
Ci fu un giorno, però, in cui Aikin non si
presentò al lago all’orario previsto. All’inizio Arcobaleno non si preoccupò
più di tanto, solo uno stupido ritardo, ma quando vide che il mattino si
inoltrava, cominciò a preoccuparsi, e ancor più seriamene quando venne il
pomeriggio. Invano aspettò sulle rive del lago tutto il giorno, perché lui non
si fece vedere.
Agitata Arcobaleno si sforzò di pensare al meglio,
forse non si ricordava del loro incontro… ma no, non era possibile, era sempre
venuto e non c’era motivo perché quel giorno non si presentasse.
Aspettò angosciata la luna piena seguente, ma
neanche allora venne a trovarla, e nemmeno la volta successiva e quella dopo
ancora.
Ormai Arcobaleno temeva che il giovane di cui
tanto rapidamente si era innamorata le avesse mentito sui suoi sentimenti e ben
presto si fosse dimenticato di lei.
Invece un giorno, dopo quattro cicli lunari che
non veniva, Aikin tornò.
Al mattino Arcobaleno lo vide emergere dall’acqua
e dirigersi in tutta fretta verso di lei.
“Aikin! Dove sei stato?” gli domandò
immediatamente.
“Oh Arcobaleno! Amore mio! Non sai quanto ti ho
pensata in tutto questo tempo!” esclamò lui e subito la abbracciò con foga.
“Cosa ti è successo? Sei stato via molto tempo.
Temevo ti fossi scordato di me.”.
“No, non mi sono mai, neanche per un secondo,
dimenticato di te. E’ che mio padre e mia madre, la Terra e l’Acqua, non mi
permettono di risalire qui da te! Hanno paura che non voglia più tornare da
loro, da quando ti ho conosciuta infatti non ho fatto che parlar loro di te.
Per cui mi hanno detto che non potrò mai più venire in superficie!” le disse
lui con tristezza indescrivibile nella voce.
“Vuoi dire che non potremo più incontrarci? No,
non lo posso sopportare. Verrò io sottacqua, con te, mi trasferirò con voi.”
“Arcobaleno, tu sei una ninfa dei boschi. In acqua
non sopravvivresti più di qualche minuto.”.
“Ma io verrò con te, non mi importa se morirò a
breve”.
“Forse… forse potrei parlare con
i miei genitori… Potrei chiedere loro di farti venire a vivere sotto il mare,
di fare un incantesimo perché tu possa trasformarti in una ninfa dei laghi
invece che dei boschi. Sul fatto che io venga qui sono stati irremovibili: non
cambieranno mai idea.”
“Potremmo provare” gli rispose
Arcobaleno speranzosa.
Così lui le diede un ultimo bacio
e sparì sottacqua.
Restò giù a lungo, ma dopo quasi
un’ora riemerse.
“Cos’hanno detto?” gli chiese
apprensiva.
“Hanno detto che forse un modo ci
sarebbe. Devi regalare loro due cose che ancora non posseggono. Solo così
potrebbero tentare di farti diventare una ninfa dei laghi. Ma non sono sicuri
di riuscirci comunque. Vuoi davvero correre questo rischio per me?” le chiese
Aikin.
“Certo. Ma cosa potrei regalare
ai tuoi genitori che non posseggano già? Mmm…”.
Arcobaleno si fece pensierosa,
poi ad un tratto esclamò: “Ma certo! Ora dovrai fare quello che dico io, va
bene?”. Lui annuì.
“Accarezzami gli occhi.” gli
disse chiudendo i begli occhi verde intenso.
Lui glieli accarezzò con mano
tremante e poi disse: “Ma cosa dobbiamo fare? Cosa intendi regalare ai miei
genitori?”.
“Voglio donare loro il verde dei
miei occhi e i miei capelli. Sono sicura
che non abbiano mai visto colori così intensi suoi capelli di una donna. E il
verde spero che piaccia ai tuoi genitori. Adesso tagliami i capelli, per
piacere.” disse lei porgendo al giovane una scheggia di vetro tagliente.
“No, questo non posso farlo. Hai
dei capelli così belli! E poi…” ma lei lo zittì con un dito sulle labbra.
“Non preoccuparti per me, ho
scelto io di farlo. Non avere paura. Tagliameli.” lo esortò Arcobaleno. Aveva
ancora gli occhi chiusi.
Strizzò gli occhi quando lui le
avvicinò la lama alle ciocche colorate e… zack. Con un rumore di falce i
lunghissimi capelli variopinti di cui andava così fiera non le appartenevano
più. Glieli aveva tagliati all’altezza
delle spalle, erano comunque lunghi, pensò lei, mentre nonostante la sua volontà
una lacrima le scivolava lungo la guancia.
“Mi dispiace Arcobaleno… io non…
non volevo che tu soffrissi a causa mia…”.
“Shhh” sussurrò lei.
E spalancò gli occhi: ora erano
di un verde pallido, quasi scolorito, ma ancora luminosissimi.
Eppure, anche con i capelli più
corti e gli occhi chiarissimi, Arcobaleno era radiosa.
Guardando nel palmo della propria
mano, Aikin vide una gemma verde cupo, della stessa tonalità degli occhi di
lei.
“Quello è il verde dei miei occhi”
gli spiegò.
Poi Arcobaleno intrecciò i suoi
capelli fino a farne una lunghissima treccia a colori alterni. Erano pronti.
“Ecco, io ho fatto” disse lei.
“Sei proprio sicura? Siamo ancora
in tempo per cambiare idea”.
“Sono sicura”.
Si baciarono e si tuffarono in
acqua.
Da quel momento, nessuno li ha
più visti.
C’è chi dice che lei sia
annegata, chi che sia effettivamente diventata una ninfa dei laghi e abbia
avuto da Aikin molti figli, chi ancora ipotizza che siano diventati tutt’uno
col lago, finendo per dissolversi in
esso. Di certo non si sa nulla, se non che da quel giorno le acque del
lago si tinsero di una tonalità verde cupo e le sue acque al sole risplendono
con tutte le sfumature dell’iride. Beh, forse questo può fungerci da indizio e
farci sperare che madre Acqua e padre Terra abbiano apprezzato i doni e
l’abbiano trasformata in una ninfa dei laghi. Nessuno lo sa e lo saprà mai con
certezza.
In ricordo della carezza con cui
Aikin prese il colore verde dagli occhi della sua amata, il lago venne chiamato
“Lago di Carezza”. E ancora oggi c’è chi, nel bosco circostante, sente
echeggiare un suono cristallino: ecco, probabilmente si tratta della risata
argentina della bella Arcobaleno, la ninfa che per amore sacrificò le parti
migliori di se stessa.
Mariangela - Invento una leggenda
Marmolada, Lago di Carezza e l‘amore Trentino
C’era una
volta una meravigliosa principessa che si chiamava Marmolada e abitava sui
confini a est del Trentino.
Aveva una carnagione molto chiara, appena rosata,
i suoi capelli erano biondi, quasi bianchi, i suoi occhi erano azzurro limpido
ed era piuttosto alta, insomma, una creatura deliziosa.
Un giorno fu costretta a scegliere un marito. C’erano
due pretendenti: Bolzano e Trento, tutti e due provenienti da lontano.
Erano arroganti, egoisti e brutti, a lei non
piacevano affatto.
Provò a rifiutare le loro proposte ma appena
sentirono un piccolissimo “no” iniziarono ad avvicinarsi minacciosamente verso
Marmolada che era vicino a un burrone e gridando in coro “Scegli me!” si
avvicinarono sempre di più, sempre di
più finchè......... Marmolada cadde.
La sua era una sensazione glaciale: tutto andava
via veloce come un fulmine, il suo cuore batteva a più non posso, ma a un certo
punto si sentì aggrappata a qualcosa, anzi a qualcuno.
Solo arrivata a terra riuscì a vedere il viso di
quella persona sconosciuta: era un
bellissimo ragazzo, aveva i capelli un pochino bizzarri, ma lo rendevano ancora
più affascinante, i suoi occhi erano di un azzurro mai visto prima, era di un’altezza
perfetta ed era vestito in maniera molto variopinta.
Terminato il salvataggio il ragazzo disse con un
inchino: ”Salve signorina, io mi chiamo Lago di Carezza e voi?
La fanciulla rispose timidamente:”Marmolada”.
Detto ciò Marmolada portò Lago di Carezza in un
capanno che la rendeva sicura e si dimenticò completamente di Trento e Bolzano,
che da lì a poco se ne tornarono a casa.
I due giovani parlarono per ore e ore diventando
più amici che mai, tanto che ogni giorno si incontravano in Val di Fassa, un
punto a metà via fra i propri territori.
Dopo pochissimo si fidanzarono, erano
innamoratissimi.
Aiutarono milioni di animali grandi e piccoli,
enormi e minuscoli.
Quando capirono che fossero davvero l’uno per
l’altra, allora si sposarono, si
costruirono una baita ed ebbero un sacco di figli.
Per tutte le cose belle e buone che fecero il buon
Dio volle premiare Marmolada e Lago di Carezza facendo in modo che gli abitanti
della regione dedicassero ai due sposi una montagna e un lago: i due
diventarono famosissimi.
Ancora oggi la Val di Fassa, il luogo del loro
amore, si trova a metà via fra la regina delle Dolomiti Marmolada e il colorato
Lago di Carezza.
Una volta in montagna, appena visto il Lago di Carezza, anche Giovanni è stato rapito dall'intensità del colore delle sue acque... ed ecco un'altra leggenda!
Giovanni - Invento una leggenda
La leggenda Lago di Carezza
C’erano
una volta due re che erano in guerra tra loro: uno era il re dell’acqua e uno
il re dei boschi.
I due
re vivevano entrambi in montagna, però il re del’acqua viveva in un lago; il re
della terra viveva in un bosco.
Ciascuno
aveva un figlio: il re della terra aveva una figlia e quello dell’acqua un
figlio.
Il
ragazzo era una creatura acquatica e per vivere doveva sempre tenere la testa
fuori dall’acqua perchè c’era un arcobaleno che stava sempre sul lago e lui
poteva respirare solo vedendo l’arcobaleno.
Anche
i due giovani non erano molto amici, però, piano piano diventarono più amici e
si innamorarono. Anche i re stavano diventando più amici e allora i due giovani
decisero di sposarsi e chiesero ai propri papà se potevano andare a vivere
insieme nel lago.
Allora
il re dei boschi prese un bosco e lo fece sciogliere nel lago, così la figlia
poteva vivere sott’acqua; invece il re dell’acqua prese l’arcobaleno che era
sopra al lago e lo mise dentro al Lago, così potevano vivere sott’acqua
insieme.
I due
giovani si sposarono e vissero per sempre felici e contenti nel meraviglioso
Lago di Carezza, così chiamato perchè il loro amore era dolce come una carezza.
Ancora
oggi le acque del lago di Carezza conservano il verde del bosco e i colori
dell’arcobaleno.
Una volta tornati, i quattro bimbi più piccoli hanno poi scritto o dettato a me i loro temi/pensieri sulla vacanza.
Le mie vacanze 2016
Camilla
Il 28
luglio sono andata in vacanza a Varena.
Siamo
andati anche a Innsbruck, in Austria, a vedere il Tetto d’oro.
Poi
siamo andati a vedere Otzi a Bolzano e l’ultimo giorno siamo andati al Museo
delle palafitte sul Lago di Ledro.
Poi
siamo andati al Lago di Garda sul battello insieme al nostro gatto Pepe!
Molti
giorni abbiamo preso il sole e siamo saliti
sulle seggiovie e gli impianti e siamo andati anche in un parco
avventura.
Due
sere c’e’ stata la baby dance e io ho ballato!
E’ stata
una vacanza bella e divertente.
Mariangela
Come
negli anni scorsi, anche quest’estate sono andata in vacanza nel solito
paesino, Varena.
In vacanza
ho vissuto moltissime avventure, ma la più bella è stata quella dell’ultimo
giorno.
Eravamo
andati a visitare il villaggio palafitticolo del Lago di Ledro; c’erano delle
palafitte che però erano state ricostruite e per questo sono rimasta un po’
delusa, ma hanno trovato comunque diecimila pali che un tempo reggevano
parecchie palafitte!
Mentre
le visitavo, ho notato che sul lago ci fossero parecchi ombrelloni e canoe.
Allora
io e la mia famiglia siamo andati a controllare, si poteva fare il bagno!!!
La
mamma ci ha dato il permesso di immergerci e ovviamente siamo subito corsi in
acqua.
L’acqua
era calda e di un azzurro meraviglioso, ogni volta che andavo sotto l’acqua
assumeva un colore cristallino.
Una cosa
molto bella era che avessimo portato in riva il nostro gattino Pepe!
È stata
un’esperienza indimenticabile e non vedo l’ora di tornarci.
Giovanni
Pochi
giorni fa sono andato in vacanza in montagna a Varena, un paesino carinissimo,
piccolino, di ottocento abitanti.
Una
volta in montagna sono andato ad Innsbruck, una città in un altro stato, in
Austria e lì c’era un tetto d’oro di zecca.
Mi
sono divertito molto ad Innsbruck.
Un
altro giorno sono andato a visitare il museo di Bolzano.
In
quel museo c’era conservata la mummia di Otzi e abbiamo visto tutti suoi
accessori.
Poi
siamo andati a vedere la mummia: era bellissima e conservata nel ghiaccio.
Dall’esterno sembrava sghiacciata, ma si vedeva che le unghie erano ancora di
ghiaccio.
L’ultimo
giorno ho fatto il bagno nel lago di Ledro e l’acqua era azzurra, trasparente.
Mi sono divertito tantissimo in montagna.
Tommaso
Quest’estate
siamo andati in montagna con anche la nonna L.
Eravamo
alla pensione Serenetta a Varena.
Siamo
andati anche sulla cabinovia, e mi sono molto divertito ad andarci e anche
sulla seggiovia.
Mi
son molto divertito a vedere gli animaletti e dargli da mangiare: c’erano una
capra, delle pecore, dei coniglietti, un coniglietto spaventato nell’angolo e
anche delle oche.
Siamo
andati anche sul Lago di Carezza, che era verde acqua e azzurro e io facevo le
foto.
L’ultimo
giorno siamo andati a nuotare in un lago e mi e’ piaciuto anche restare
nell’Hotel Serenetta e ho giocato con i Lego insieme a Giovanni.
Un
giorno siamo andati in un museo a vedere Otzi, una mummia.
Siamo
andati anche sul trenino e mi sono molto divertito ad andare sul trenino e
anche ad andare al museo delle api.
Mi è piaciuto anche andare sul battello sul Lago di Garda.
Quando, qualche giorno fa, Tommaso è andato a scrivere le sue prime paroline con la lettera "O" (stiamo imparando le vocali) la prima parola a cui ha pensato non è stata un'oca nè un orso ma... Otzi!
Infine, Margherita, prendendo spunto dal famoso ritratto dell'imperatrice Sissi, ha realizzato questo acquerello.