mercoledì 7 ottobre 2015

Leggende e racconti sui gatti

Parlando di gatti, non potevamo non andare alla ricerca di racconti su questi affascinanti animali e di leggende sull'origine delle loro caratteristiche.
Ecco qui alcune leggende trovate in rete e un po' modificate da noi,
Dopo averle lette ed ascoltate, ogni bambino ha scelto quale o quali illustrare.
Margherita, da parte sua, ha subito ideato un racconto storico-leggendario sul "Gatto di Cleopatra".

LEGGENDE SUI GATTI

LA NASCITA DEL GATTO DI MANX
Una leggenda narra che quando Noè fece salire gli animali sull’Arca per salvarli dal Diluvio Universale, una coppia di gatti arrivò in ritardo, quando le porte della nave stavano quasi per chiudersi. Riuscirono a salire ma le loro code rimasero incastrate e furono tagliate via.
Una variante di questa leggenda racconta che la coda gli fu strappata via con un morso da un cane, sempre mentre si trovavano sull’Arca, e che i gatti per la vergogna di non avere più la coda e non volendo farsi vedere in quello stato, si gettarono in mare e nuotarono fino a raggiungere l’isola di Man, dove si stabilirono e da cui presero il nome.
In realtà questa razza si è originata intorno al XVIII secolo, proprio sull’isola di Man, da cui il nome, situata tra l’Inghilterra e l’Irlanda.
Il gatto Manx ha subìto nel tempo una mutazione genetica che lo ha privato della coda, anche se ne esistono alcuni esemplari con una coda molto piccola, quasi un “moncone”, e altri ancora con una coda quasi normale.



IL GATTO SACRO DI BIRMANIA
Secondo la leggenda, in Birmania, i monaci Khmer costruirono agli inizi del XVIII secolo un bellissimo tempio sotterraneo denominato “Tempio dei Gatti” proprio perché vi dimoravano più di cento gatti tutti bianchi.
In seguito, i monaci Kittah, decisero di dedicare il tempio alla dea Tsun–Kyan–Kse. La dea era rappresentata da una bellissima statua in oro con degli splendidi occhi di zaffiro ed era vegliata giorno e notte da un monaco guardiano di nome Mun-Ha. Egli amava restare per lungo tempo in meditazione ai piedi della dea e aveva come unica compagnia un bellissimo gatto bianco di nome Sihn.
Una notte, dei briganti si introdussero nel tempio per rubare la preziosissima statua uccidendo a tale scopo Mun-Ha. Ma nel momento in cui il suo corpo cadde senza vita ai piedi della statua, il suo fedele gatto gli si accucciò sul capo guardando intensamente la dea come per chiedere vendetta. La dea, commossa dal coraggio e dalla devozione del gatto, trasformò i colori del corpo di Sihn: il suo manto cominciò a tingersi di color oro come il mantello che ricopriva la statua, i suoi occhi diventarono di uno spettacolare color blu-zaffiro e le zampe, la coda, il musetto e le orecchie si tinsero del colore della terra bruna sulla quale poggiava la statua della dea. Soltanto le parti che erano a contatto con il corpo del monaco restarono bianche a ricordo della purezza della sua anima.
Il gatto, poi, si voltò verso la porta del tempio fissandola. In questo modo, gli altri monaci si accorsero dell'arrivo dei briganti e corsero a chiudere tutte le porte salvandosi dalla distruzione. Sihn vegliò il corpo del suo amato padrone per sette giorni e poi morì. Gli altri 99 gatti del tempio si tramutarono anch’essi nello stesso colore di Sihn e da quel giorno furono considerati sacri e venerati.

Giovanni



     IL GATTO SIAMESE
La leggenda racconta di un meraviglioso castello all’interno del quale il re del Siam viveva felice con la sua bellissima figlia.
Nei dintorni del castello vi era un favoloso giardino pieno di piante e fiori e una grandissima piscina che comunicava, attraverso un passaggio molto stretto, con il fiume infestato da enormi coccodrilli.
Il re adorava i gatti e ne accoglieva tantissimi all’interno della sua dimora. Un giorno, dovendo partire per un lungo viaggio e molto preoccupato di dover lasciare la giovane principessa da sola per tanto tempo, chiamò a raccolta i suoi gatti e chiese loro di vegliare sulla sua amata figlia e di prendersi cura di lei fino al suo ritorno.
La principessa amava fare il bagno nella grande vasca durante le giornate più calde e i gatti la seguivano ovunque e la tenevano d’occhio. Un giorno però un grosso coccodrillo riuscì ad attraversare il canale che collegava la piscina al fiume e a raggiungere la fanciulla. I felini, che per fortuna non l’avevano mai persa di vista, si accorsero immediatamente del pericolo e immergendo le loro codine in acqua riuscirono ad attirare l’attenzione del coccodrillo. Purtroppo per loro però il grosso animale riuscì a staccare un pezzo della loro splendida coda.
Ed è per questo che secondo la leggenda esistono due tipi di Siamesi. Quelli con la coda lunga che sono i gatti che erano rimasti a fare da guardia all’interno del castello e quelli invece con la coda corta che termina con una specie di “nodo”, sono i coraggiosi felini che hanno difeso la principessa e le hanno salvato la vita.
Una variante di questa leggenda invece racconta che la principessa prima di fare il bagno nella grande piscina, era solita togliersi tutti gli anelli ed infilarli nella coda dei suoi splendidi gatti. Per non perderli poi annodava la codina all’estremità. I gatti poi si giravano continuamente a controllare che i preziosi gioielli fossero sempre dove la fanciulla li aveva lasciati, ed è per questo che i loro splendidi occhi sono leggermente strabici.
Mariangela


     IL GATTO DEI BA-RONGA
Una leggenda dei Ba-Ronga (una popolazione del Sudafrica) racconta che le vite di un intero villaggio erano racchiuse nel corpo di un gatto
Quando una delle figlie del capo tribù si sposò, volle a tutti i costi portare nella nuova casa il gatto del villaggio. I genitori sapevano bene che nel felino erano racchiuse tutte le vite e si opposero alla decisione della figlia. Alla fine però Titishan, questo era il nome della fanciulla, la spuntò portando con sé il gatto nascondendolo al marito. Un giorno, quando la ragazza si trovava al lavoro nei campi, il gatto fuggì dal suo nascondiglio, entrò nella capanna e, per fare uno scherzo, indossò l’equipaggiamento da guerra dello sposo, mettendosi a ballare e cantare. Alcuni bambini delle capanne vicine, sentendo tanto trambusto, corsero a vedere cosa stesse accadendo e scoprirono, con grande sorpresa, che il gatto faceva salti altissimi e capriole, ballando e cantando a squarciagola.

Completamente affascinati, i bambini chiesero di poter partecipare al gioco. Ricevuto un rifiuto, corsero allora a chiamare lo sposo che, colto da grande paura, lo uccise.

Nello stesso istante Titishan cadde a terra moribonda. Il marito, disperato, avvolse il corpo del gatto morto in una stuoia e lo portò al paese natìo insieme alla moglie.


Quando i parenti videro la giovane sposa moribonda, la rimproverarono aspramente per non aver voluto ascoltare i saggi consigli che le erano stati dati, ma alla vista della stuoia contenente il gatto morto caddero tutti esanimi uno dopo l’altro; fu così che morì tutto il Clan del Gatto.
Il marito, che era rimasto illeso, chiuse il cancello del villaggio con un ramo di palma e, tornando a casa, raccontò a tutti come, uccidendo il felino, si fosse estinta tutta la tribù della sua sposa.


IL MANEKI NEKO
La leggenda del “gatto che saluta” è molto antica. In Giappone viene considerato un vero e proprio portafortuna.
Secondo una delle sue tante versioni, a Edo, l’attuale Tokio, si trovava il bellissimo tempio di Gotoku, in un quartiere molto povero. Il tempio era però da tempo in decadenza, a causa della mancanza di fondi per pagare le ingenti spese. I suoi giardini, una volta fiorenti e pieni di fontane zampillanti, erano ormai ricoperti da una fitta foresta e l’unico monaco che vi dimorava era caduto nella più profonda disperazione.
Tutte le sere pregava di fronte all’altare davanti al quale ancora qualcuno portava delle offerte di fiori.
Il monaco nelle sue preghiere chiedeva solo un po’ di fortuna per il suo tempio. Sperava con tutto il cuore che un giorno potesse ritornare al suo antico splendore.

Una sera davanti alla porta del tempio vide un gatto malconcio che gli si avvicinò e cominciò a fargli le fusa. Il vecchio condivise allora con lui la scodella di riso che aveva preparato per la cena e il fuoco davanti al quale si riscaldava. Da allora diventarono inseparabili e il monaco si rivolgeva spesso al gatto pensando: “se solo potessi portarmi un po’ di fortuna”.
Una notte si scatenò un terribile temporale. Un gruppo di samurai, guidati da un ricco signore, si ritrovarono nei pressi dei giardini del tempio e si ripararono sotto un albero. Ad un tratto, il ricco signore vide il gatto che li guardava da lontano e che, seduto sulle zampine posteriori, gli agitava una delle zampe anteriori in cenno di saluto. Il signore ed i samurai andarono verso di lui; un attimo dopo l'albero fu colpito da un fulmine.
Quando cercarono di avvicinarglisi, il gatto si allontanò, si fermò qualche metro più avanti si rimise nella stessa posizione e continuò a “salutare” fin  quando scomparve dietro la ricca vegetazione che nascondeva il tempio. I samurai lo seguirono e si ritrovarono all’interno del tempio decadente e al cospetto del monaco che fu così gentile da offrire loro cibo e riparo.
Il signore, riconoscente, decise allora di farne il tempio della sua famiglia e di riportarlo agli antichi splendori. Il monaco insieme al suo amato gatto che tanto gli aveva portato fortuna continuarono a vivere tranquilli e sereni tra le sue mura.
Quando molto tempo dopo il gatto morì, il vecchio monaco in segno di riconoscenza fece erigere una statua di un gatto seduto sulle zampe posteriori con una zampina sollevata in segno di saluto.
Da allora “il gatto che saluta” viene considerato un vero e proprio portafortuna e lo si può trovare in quasi tutte le case giapponesi e non solo.
Camilla


IL GATTO TIGRATO
Una volta, quando era ancora selvaggio, il gatto tigrato viveva insieme a una tigre. Un giorno la tigre chiese al gatto di procurarle un po´ di calore perchè faceva molto freddo. Il gatto cercò e trovò una casa degli uomini con all´interno un bel fuoco. Il gatto entrò senza farsi vedere, rubò un tizzone ardente dal camino e lo portò alla tigre. La tigre fu molto contenta. Passarono i giorni ma il gatto non era più lo stesso, non faceva che pensare a quel bel posto caldo e accogliente. Un giorno salutò la tigre e le disse che sarebbe andato a vivere in quella casa e che sarebbe restato lì per sempre.
Una leggenda cristiana narra invece che fu la Madonna stessa a regalare a questi gatti il segno particolare che ricorda il suo nome. Si narra infatti che, nella stalla di Betlemme, oltre al bue e all´asinello ci fosse anche una grossa gatta tigrata gravida che, proprio in quella santa notte, diede alla luce i suoi cuccioli. Subito dopo aver dato le prime cure ai piccoli, la gatta si avvicinò alla mangiatoia e, con la sua morbida pelliccia, contribuì a riscaldare il piccolo Gesù. Per ringraziarla, la Madonna regalò a questa micia  e a tutti i gatti tigrati il caratteristico segno sulla fronte a forma di M in ricordo del suo nome.
Mariangela



Invento un racconto storico-leggendario


Perchè il gatto tigrato ha le tigrature
C’era una volta, nell’Antico Egitto, la regina  Cleopatra.
Ella passava la maggior parte del tempo fra uomini e imperatori, ma quando era sola si sentiva terribilmente triste.
Successe, però, che in un dì più caldo del solito Cleopatra stesse passeggiando nei rigogliosi giardini del suo palazzo.
Non immaginava proprio che da quel giorno la sua vita sarebbe radicalmente cambiata.
Infatti, appena fuori dalle colossali mura che circondavano il giardino, Cleopatra sentì un lieve gemito, seguito da un flebile miagolio.
La regina, incuriosita, scostò i rami di un gigantesco albero che incorniciava il portone del giardino e vide qualcosa che la sbalordì.
All’ombra dall’albero giaceva a terra un cucciolo di gatto magrissimo e semisvenuto dal caldo, con una  rada pelliccia grigia, un nasino rosa e dei bellissimi occhi verdi.
La regina, che da sempre aveva un debole per i gatti, lo raccolse amorevolmente e lo portò in tutta fretta al palazzo, dove gli diede da mangiare, da bere, lo lavò e gli procurò un giaciglio comodo dove poter dormire.
Il gattino era una femmina e Cleopatra la chiamò Nia.
Ben presto Nia si rivelò una gatta dolce ed affettuosa, che amava la sua padrona più di ogni altra cosa al mondo.
Dal canto suo Cleopatra ricambiava tutto l’affetto di Nia coccolandola, amandola,  dandole servitori, domestici e ogni cosa che un gatto possa desiderare.
Nia e Cleopatra erano inseparabili e la gatta non abbandonava mai la sua amata padrona, neppure in viaggio, quando essa stava acciambellata sulle sue ginocchia nella sua stessa portantina.
Cleopatra, da grande seduttrice qual era, ammaliava re ed imperatori con la sua bellezza e l’innata femminilità e un giorno fece innamorare di sè Marco Antonio, luogotenente di Giulio Cesare.
In seguito a complicate vicende, però, Cleopatra fu accusata dal romano Ottaviano di mirare al predominio di Roma e questo convinse i Romani a dichiarare guerra agli Egiziani.
La regina fece costruire 300 possenti navi per la guerra di Azio che purtroppo lei  e Antonio persero miseramente.
Infine si rifugiò ad Alessandria d’Egitto con Antonio e la fedele gatta Nia.
Cleopatra, per non cadere nelle mani dei Romani, si fece mordere da un pericoloso aspide e morì.
Nia, che aveva assistito impotente alla scena, si lanciò contro l’aspide che aveva così crudelmente strappato la vita alla sua adorata padrona e i due cominciarono una lotta all’ultimo sangue.
Alla fine Nia riuscì ad uccidere il serpente e, stanca e dolorante per i graffi e le ferite, si recò al Nilo per lavarsi e medicarsi.
Quando si specchiò nelle limpide  acque del fiume, la sua stessa immagine la sbalordì: sulla solita lucida pelliccia grigia, erano comparse delle meravigliose striature nere, che le adornavano il muso affusolato e le decoravano il manto folto e morbido.
Il buon Dio aveva voluto ricompensare la sua forza e il suo coraggio donandole  le  magnifiche tigrature della tigre.
Ormai sola al mondo ma felice, Nia si imbarcò su una nave Fenicia e fu portata in Europa.
Dopo un po’ rimase incinta e diede alla lue otto bellissimi micini tigrati che ben presto si sparsero sulla Terra e oggigiorno sono la  razza felina più diffusa al mondo.

Quindi possiamo dire con orgoglio che i nostri piccoli amici tigrati sono lontani parenti della coraggiosa gatta di Cleopatra. 


Oltre alle leggende, abbiamo letto e commentato alcune fiabe di Esopo e poi, passando al genere fiaba, ci siamo poi dedicati al celeberrimo "Gatto con gli stivali".
IL GATTO CON GLI STIVALI

Un mugnaio lasciò in eredità quel poco che aveva ai suoi tre figli.
Il maggiore ebbe il mulino, il secondo l’asino, e l’ultimo il gatto.
Non si consolava questi che gli fosse toccata una così magra porzione. “I miei fratelli, diceva, potranno, mettendosi insieme, guadagnarsi onestamente la vita; per me, mangiato che avrò il gatto e fattomi della sua pelle un manicotto, bisognerà che muoia di fame”
Il Gatto, che udì queste parole senza però farne le viste, gli disse in tono serio e posato: “Non vi affliggete, padroncino mio, datemi solo un sacco e fatemi far un par di stivali per andar nelle macchie, e vedrete che la vostra sorte non è poi tanto cattiva quanto credete.”
Benchè poco ci contasse, il padrone del Gatto non disperò di cavarne un certo aiuto, dato che tante bravure gli aveva visto fare per acchiappar sorci e topi.
Avuto il fatto suo, il Gatto s’infilò gli stivali, si mise in collo il sacco, ne afferrò i cordoni con le zampe davanti e se n’andò in una conigliera dove i conigli abbondavano. Empì il sacco di crusca e di cicerbite, e stendendosi come se fosse morto, aspettò che qualche giovane coniglio, poco esperto delle malizie di questo mondo, s’insinuasse nel sacco per mangiarvi quel che ci aveva messo.
Coricatosi appena, il colpo fu fatto; uno storditello di coniglio entrò nel sacco, ed il Gatto strinse subito i cordoni, lo prese e lo uccise senza misericordia.
Tutto glorioso della preda, se n’andò dal re e domandò udienza. Lo fecero montare agli appartamenti di Sua Maestà, e là, fatto al Re un profondo inchino, disse il Gatto: “Ecco, Maestà, un coniglio di conigliera che il sig. marchese di Carabas (così gli venne in testa di chiamare il suo padroncino) mi ha incaricato di presentarvi. — Dirai al tuo padrone, rispose il Re, che del regalo son molto compiaciuto e lo ringrazio.”
Un’altra volta, andò a nascondersi in un campo di frumento, tenendo sempre il sacco aperto, e quando due pernici vi furono entrate, tirò i cordoni e le prese tutt’e due.
Poi se n’andò dal Re, e gliele offrì come aveva fatto dei conigli. Il Re accettò volentieri le due pernici e gli fece dare una mancia.
Per due o tre mesi continuò il Gatto a portare al Re di tanto in tanto un po’ di caccia da parte del suo padrone. Saputo un giorno che il Re doveva andar a spasso in riva al fiume, insieme con la figlia, che era la più bella principessa di questo mondo, disse al suo padroncino: “Se mi date retta, la vostra fortuna è fatta: non avete che a fare un bagno nel fiume, in un posto che io vi indicherò, e poi lasciate fare a me.”
Il marchese di Carabas seguì il consiglio del Gatto, senza indovinare a che potesse servire. Mentre faceva il bagno, si trovò a passare il Re, e il Gatto iniziò a gridare con quanta ne aveva in gola: “Aiuto! aiuto! il marchese di Carabas annega!” A quel grido il Re si affacciò allo sportello, riconobbe il Gatto che tante volte gli aveva portato della caccia, e ordinò alle sue guardie di accorrere subito in aiuto del marchese di Carabas.
Mentre tiravan fuori dall’acqua il marchese di Carabas, il Gatto si avvicinò alla carrozza e disse al Re che due ladri erano venuti ed avevano portato via i vestiti del marchese, per quanto egli si sgolasse a gridare al ladro! Il furbaccio gli avea nascosti sotto una grossa pietra.
Il Re ordinò subito agli ufficiali della guardaroba di andare a prendere il più sfarzoso vestito che vi fosse pel sig. marchese di Carabas. A lui stesso fece il Re mille gentilezze, e poichè i bei vestiti rialzavano la bella figura del giovane, la figlia del Re lo trovò molto di suo gusto e non appena il marchese di Carabas le ebbe rivolto due o tre occhiate rispettose ma un po’ tenere, se ne innamorò fino alla follia.
Il Re se lo fece montare in carozza e lo volle compagno della passeggiata. Il Gatto, tutto lieto di veder riuscire il piano architettato, si mise a fare il battistrada e avendo visto dei contadini che falciavano un prato, disse loro: “Buona gente che falciate, se voi non dite al Re che questo campo appartiene al signor marchese di Carabas, sarete trinciati e tritati come la carne per le salsicce.”
Non mancò il Re di domandare ai falciatori a chi apparteneva quel prato che falciavano. “Al signor marchese di Carabas, risposero tutti ad una voce, tanto avevano avuto paura della minaccia del Gatto.
“Avete costì una bella eredità, disse il Re al marchese di Carabas. — Voi vedete, Maestà, rispose il marchese, è un prato che tutti gli anni mi dà un reddito abbondante.”
Mastro Gatto, che correva sempre avanti, incontrò dei mietitori e disse loro: “Buona gente che mietete, se voi non dite che tutto questo frumento appartiene al signor marchese di Carabas, sarete trinciati e tritati come carne di salsicce” Il Re, che passò subito dopo, volle sapere di chi fosse tutto quel frumento” Del signor marchese di Carabas » risposero i mietitori, e il Re se ne rallegrò di nuovo col marchese. Il Gatto che precedeva sempre, ripeteva la stessa storia con quanti incontrava; e il Re stupiva dei grandi possedimenti del signor marchese di Carabas.
Mastro Gatto arrivò finalmente ad un bel castello, il cui padrone era un Orco, il più ricco che mai fosse; poichè tutte le terre già dal Re attraversate dipendevano da quel castello. Informatosi di quel che fosse cotest’Orco e di quanto sapesse fare, il Gatto domandò di parlargli, dicendo che non avea voluto passare così vicino al suo castello senza aver l’onore di fargli riverenza.
L’Orco lo accolse con tutta quell’affabilità di cui un Orco è capace e lo fece riposare.
“Mi si è dato ad intendere, disse il Gatto, che voi avete il dono di mutarvi in qualunque sorta di animale, che potete, per esempio, diventar leone o elefante. — È vero, rispose burbero l’Orco, e per dimostrarvelo, adesso vedrete come mi trasformo in leone.” Il Gatto fu così spaventato di vedersi davanti un leone, che spiccò un salto fin sulle grondaie, non senza fatica e pericolo, a motivo degli stivali che non erano buoni per camminar sui tetti.
Qualche tempo dopo, vistogli mutar forma il Gatto ridiscese e confessò di avere avuto una gran paura. “Mi hanno pure assicurato, disse, ma io non ci credo, che voi potete anche prender la forma dei più piccoli animali, di cambiarvi per esempio in topo o sorcio: vi confesso però che la cosa mi pare impossibile. — Impossibile? esclamò l’Orco, adesso vi fo vedere.” E detto fatto si mutò in un topolino, che si diè a correre sul pavimento. Subito il Gatto gli saltò addosso e ne fece un boccone.
Il Re intanto, passando pel castello dell’Orco, volle entrarvi. Il Gatto che udì il rumore della carrozza sul ponte levatoio, corse incontro e disse al Re: “Benvenuta, Maestà, nel castello del signor marchese di Carabas! — Come, signor marchese! esclamò il Re, anche questo castello è vostro? Niente può esser più bello di questo cortile e di tutte le fabbriche circostanti. Vediamone l’interno, di grazia.”
Il marchese diè la mano alla principessina, e, tenendo dietro al Re che saliva, entrarono in un’ampia sala dove trovarono una lauta colazione che l’Orco aveva fatto preparare per certi suoi amici, che dovevano venire quel giorno stesso, ma che non avevano osato entrare, sapendo della presenza del Re. Ammaliato dalle buone qualità del marchese di Carabas, come già la principessina ne andava matta, e vedendo i molti beni da lui posseduti, il Re gli disse, dopo aver bevuto cinque o sei bicchieri di vino: “Sol che vogliate, signor marchese, voi potete divenir mio genero”. Il Marchese, facendo inchini sopra inchini, accettò l’onore che il Re gli faceva, e quel giorno stesso si sposò la principessa. Il Gatto divenne gran signore, e non corse più dietro i topi che per solo passatempo.



Le bambine hanno lavorato sulla comprensione del testo con domande e risposte, poi hanno illustrato la fiaba.
Qui, le domande preparate per Margherita e Mariangela.


1 – Chi è il protagonista della fiaba?
2 – Chi è l’aiutante?
3 – C’è un oggetto magico?
4 – Chi sono gli altri personaggi?
5 – Quali caratteristiche contraddistinguono il gatto?
6 – Quando si svolge il racconto?

7 – C’è una morale?

Camilla

Mariangela
 Per Giovanni (classe II), ho utilizzato una versione più breve della fiaba, tratta da "Olmo bla bla 2".

Giovanni

P.S. Chiedo scusa per i margini impazziti di questo post, su cui non sono riuscita ad intervenire come avrei voluto...

P.P.S. Se volete scaricare le leggende, è possibile farlo qui.

2 commenti:

  1. Ammirata, come sempre, per il tuo, il vostro meraviglioso lavoro! Anche noi abbiamo avuto, per 13 anni, un gatto. Si chiamava Michele ed il nome era stato scelto da Tommaso, che si " lamentava" di avere soltanto due sorelle e quindi rivendicava almeno la scelta del nome per il gattino. Era anche soprannominato " Il Procione", dato le sue imponenti dimensioni...
    spero ti sia arrivata la mia mail, in cui ti racconto questi due lunghi mesi ed il motivo della mia lontananza.
    un abbraccio grande a tutti
    Emanuela

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    Risposte
    1. Michele il Procione??? Che forte!!!
      Sei sempre fortissima nelle tue descrizioni!!!

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