venerdì 16 febbraio 2018

Venerdì del libro: Socc'mel... che canzone!

Anche oggi, come già venerdì scorso, vi parlo di un libro nato da un concorso letterario.
Anche oggi, di un concorso letterario a cui ha partecipato anche Margherita.
Il tema di questo concorso, dal titolo probabilmente incomprensibile ai "non-bolognesi", era questo:

Sócc'mel... che canzone! 
BOLOGNA LA GRASSA… CANTATA 
TORRI, TORTELLINI E… CANZONI
Molti cantanti hanno camminato e camminano sotto i portici di Bologna trasformando in rime le emozioni che la città felsinea è in grado di scatenare.

Canzoni sussurrate, cantate a squarciagola, da soli o in gruppo.
Mettete su un CD, lasciatevi trasportare dalla musica e dalle parole e immaginate una storia, una piccola storia dove le sensazioni suscitate dalla canzone si fondono con le vostre parole.
Bene, ora si tratta solo di scriverla ispirandovi a uno di questi cantanti:
Freak Antoni (Skiantos)
Luca Carboni
Fausto Carpani
Dino Sarti
Lucio Dalla
Gianni Morandi
Quinto Ferrari
Claudio Lolli
Andrea Mingardi
Federico Poggiopollini
Salvatore Vinciguera
Stadio
Cesare Cremonini
Raffaella Carrà
Nilla Pizzi
Cristina D’Avena
Eloisa Atti
Angela Baraldi
Iskra Menarini
Grazia Verasani



Margherita, che aveva  per caso recentemente scritto un racconto ispirato alla sua canzone del cuore, "4/3/1943",  ha chiesto il permesso di partecipare (il concorso era per soli maggiorenni) e, ottenutolo, inviato il suo racconto, un po' modificato per esigenze di spazi e battiture.
Qualche mese dopo, abbiamo ricevuto - per caso, proprio lo stesso pomeriggio della comunicazione del concorso "Personaggi in cerca di storie" - la comunicazione che il suo racconto, "Ninnananna di taverna" fosse stato selezionato e che sarebbe stato inserito nell'antologia! 
Che emozione!!!! Che gioia!!!
La mail conteneva anche l'invito alla cerimonia di premiazione.
Questa si è svolta il 3 febbraio scorso.
Prima di raccontarvi - anzi, di farvi raccontare direttamente da Margherita - com'è andata, vi lascio dati e dettagli del libro, che mi sento d consigliare per la sua leggerezza, nel senso più bello del termine: sono letture piacevoli, scorrevoli e delicate, a volte ironiche, a volte sagaci, a volte spensierate, a volte spunto di riflessione su temi anche amari della vita. Sempre con un motivetto, una melodia nel cuore e nella testa.

 Titolo: Socc'mel... che canzone!
Autore: A.A. V.V.
Casa Editrice: Il Loggione
Numero di pagine: 322
GENERE DEL LIBRO: Raccolta antologica di racconti



Mercoledì, 07 febbraio 2018
Tema
L’emozione di un giorno speciale
Ognuno di noi ha una canzone speciale.
Quella canzone che è come un rifugio, un luogo in cui ci ripariamo, in cui ci sentiamo al sicuro, in cui entriamo a contatto con la parte più intima di noi.
Quella canzone che ci prende per mano e ci porta lontano, lontano dagli affanni di ogni giorno, lontano dalle preoccupazioni.
Quella canzone di cui ci basta sentire la prima nota per riconoscerla e sorridere.
Quella melodia che ci trasporta lontano da noi stessi, dalla parte superficiale di noi, per farci ricongiungere con la nostra parte più vera e più profonda.
Ecco, per me quella canzone è sempre stata “4/3/1943” di Lucio Dalla.
Ricordo di averla ascoltata fin da quando ero bambina, molto piccola, e mi è entrata nel cuore.
La fugace storia d’amore fra una ragazzina e un giovane soldato straniero, che porta alla nascita di un bambino che verrà chiamato come nostro Signore, mi ha sempre affascinata e, soprattutto, emozionata.
Sulle note semplici e scanzonate degli strumenti a corda, quella storia narrata con parole delicate ma reali mi trasportava in quella piccola stanza sul porto, accanto a quella fanciulla sfortunata.
Ha sempre significato molto per me.
Ne amo tutto: la melodia, la storia, le parole.
Mi colpiva il fatto che la canzone sembrasse fatta di immagini fugaci, acquerelli che ci si rivelavano all’improvviso per poi sfumare nel buio, in una sequenza sconosciuta e meravigliosa cullata dalle note degli strumenti, che sembrava più una ninnananna a colori che una canzone vera e propria.
Da bambina feci un disegno che ritraeva la protagonista: una ragazza con un corto vestito arancione, una chioma corvina di riccioli bruni che piangeva mentre si accarezzava il ventre.
Persi poi di vista quel disegno, e me ne dimenticai.
L’anno scorso, mentre scorrevo le pagine del blog di famiglia, mi sono ritrovata davanti a quel disegno infantile, che mia madre aveva pubblicato insieme al testo della canzone, che con la mia grafia rotonda e traballante di bambina avevo ricopiato con tanta fatica.
L’ho riconosciuto immediatamente, e grande è stata la mia sorpresa quando ho capito che mi immaginavo la ragazza nello stesso modo, a distanza di anni.
Quell’immagine si era talmente impressa nella mia immaginazione che mi sembrava di aver vissuto in prima persona gli accadimenti della canzone.
Sono rimasta colpita dalla coincidenza, e per qualche giorno ci ho riflettuto.
Il cuore mi suggeriva un’idea che la ragione osservava scettica: scrivere un racconto su quella canzone che per me significava così tanto.
Finchè, un giorno, il Sentimento ha preso il sopravvento sulla Ragione, ho preso in mano la penna, un foglio, mi sono seduta alla mia scrivania e ho iniziato a scrivere.
Non c’è nemmeno stato bisogno che riascoltassi il testo.
Scrivere quel racconto è stata un’esperienza meravigliosa: le parole fluivano dalla mia penna senza che io dovessi fare nulla, la storia già sul pennino, come una farfalla che aspettasse solo un cenno della primavera per rompere il bozzolo e librarsi sopra le nuvole.
Non ho dovuto fare nulla: la storia si è scritta da sola, come se avessi già dentro di me quelle parole, quei personaggi, quei luoghi.
Ho deciso di intitolarlo “Ninnananna di taverna” in onore della strofa della canzone che mi emoziona sempre di più: «Le strofe di taverna le cantò a ninnananna…».
Quando ho terminato il racconto l’ho riscritto in bella copia, poi battuto al computer e infine l’ho fatto leggere ai miei familiari.
Con mia grande sorpresa tutti ne sono stati tutti entusiasti all’unanimità: si sono spinti a dire che fosse la miglior cosa che avessi mai scritto.
Orgogliosa e felice, ho sistemato il racconto nel mio quaderno e sono andata avanti.
Era da un po’ che avevo iniziato a inviare racconti a vari concorsi quando ho trovato il bando di “Socc’mel… che canzone!”.
La casa editrice Loggione indiceva questo concorso, in cui sarebbero stati accettati tutti i racconti che avessero come ispirazione una canzone cantata da cantanti bolognesi.
Luca Carboni, Gianni Morandi, Raffaella Carrà, Cesare Cremonini, Andrea Mingardi, Ron… Lucio Dalla.
Il mio racconto rientrava perfettamente nel tema.
C’era però un problema, un ostacolo che forse mi avrebbe impedito di partecipare: il concorso era solamente per adulti.
Così mia madre ha scritto alla casa editrice e raccontato brevemente la mia storia, specificando la mia età: ci hanno risposto che non pensavano che a minorenni potesse interessare l’argomento, ma che sarebbero stati lieti di accettare il mio racconto, previa autorizzazione firmata dal genitore.
Felice che avessero detto di sì, ho sistemato gli ultimi dettagli del racconto e l’ho inviato.
Credevo che non sarebbe stato preso in considerazione, dato il fatto che il concorso stava avendo una grande affluenza, da persone provenienti da tutta Italia.
È passato qualche mese, ormai pensavo che il mio racconto fosse stato scartato.
E invece, un giorno, nella posta elettronica abbiamo trovato una e-mail della Loggione: mi comunicava che il mio racconto, “Ninnananna di taverna”, era stato scelto per essere inserito nell’antologia del concorso.
Ciò significava che ero arrivata fra i primi posti!
Non potevo crederci.
Ero così emozionata... era un sogno che si realizzava!
Nella mail era altresì comunicata la data della premiazione: 03 febbraio 2018.
Euforica, ho segnato mentalmente quella data in cima alla lista delle cose più importanti da ricordare e ho atteso: mancavano ancora tre mesi al giorno indicato.
I giorni sono passati, seguiti a ruota dalle settimane e dai mesi, che si rincorrevano instancabilmente uno dopo l’altro.
È giunto così, senza che quasi me ne accorgessi, il 3 di febbraio.
Quel pomeriggio, mentre percorrevamo in automobile i chilometri che ci separavano dal luogo prescelto per la premiazione, il cuore mi martellava forte nel petto.
Ero così eccitata… non vedevo l’ora di arrivare.
Giunti alla Casa della Cultura abbiamo comprato l’antologia in cui era racchiusa anche la mia opera, e mi sono presentata.
Le due donne dietro la bancarella che vendeva i volumi si sono scambiate un’occhiata indecifrabile, poi i loro volti si sono aperti in sorrisi smaglianti.
“Ah, sei tu!” ha esclamato una stringendomi la mano “Complimenti, veramente, bravissima!”.
Anche l’altra, raggiante, mi ha stretto la mano e si è congratulata.
Io ho stretto loro educatamente le mani, ho sorriso, un po’ frastornata e molto felice.
Pensavo che la loro reazione fosse dovuta a una specie di tenerezza materna nei miei confronti, nel vedermi “piccina” in un ambiente di adulti, e non alla posizione che avevo raggiunto nella classifica.
Il pensiero non mi sfiorava nemmeno.
Con il cuore in gola per l’emozione, mi sono accomodata fra le prime file, con mia madre e mia nonna Raffaella ai lati e il resto della mia famiglia alle spalle.
Mentre aspettavamo l’inizio dell’evento ho sentito accenti e calate provenienti da parti d’Italia di cui avevo letto solo nei miei libri: gli accenti secchi della Puglia, quelli gutturali della Sardegna, la calata quasi esotica dei Siciliani, la lingua pulita dei Toscani, la cadenza particolare dei torinesi, quella celebre dei milanesi, la lunga, monotona litania dei Veneti, l’accento pungente dei trentini, quello inconfondibile della Valle D’Aosta, che alle R rotolanti dei francesi unisce il suono duro e pungente dei dialetti alpini parlati dalle minoranze etniche.
E poi, con il suo suono a me così familiare e rassicurante, il dialetto parlato nella mia città, Bologna, con le sue S che si sciolgono sulla punta della lingua come burro tiepido e quelle parole che alcuni definiscono “storpiate” ma che per me significano semplicemente casa.
Dopo questa immersione nell’Italia in tutte le sue molteplici sfaccettature, la premiazione è iniziata.
Il presentatore, un uomo simpatico di mezza età, ha fatto vedere un video proiettato sul maxischermo alla parete alle sue spalle, nel quale gente comune cantava canzoni di cantanti bolognesi.
L’uomo scherzava e rideva, continuando a ripetere che era come se avessimo vinto tutti, e mi ha messa a mio agio.
La segretaria ha poi spiegato la modalità con cui erano stati scelti i racconti inseriti nell’antologia: degli oltre centocinquanta racconti inviati ne era stato scelto soltanto un terzo da una giuria di esperti.
Quindi io e le persone provenienti da tutte le zone d’Italia che affollavano la sala eravamo i migliori cinquanta.
Mentre la segretaria lo spiegava ho sentito il cuore battere un po’ più veloce e il respiro farsi più corto.
All’evento era presente anche una cantante di nome Silvia, una donna esile sulla quarantina con una nuvola di ricci vaporosi e una bella voce argentina.
Dopo che il presentatore, la segretaria e la cantante si sono presentati è iniziata la premiazione vera e propria.
A dieci a dieci hanno chiamato sul palco tutti gli autori, chiedendo ad alcuni di loro di spiegare il loro racconto o la scelta della canzone che lo aveva ispirato.
Le canzoni scelte erano le più diverse e disparate: andavano da Mare Mare di Luca Carboni ad Anna e Marco di Lucio Dalla; da Nuova stella di Broadway di Cesare Cremonini a Noi puffi siam così di Cristina D’Avena; da A io’ vest un marziàn di Andrea Mingardi a Uno su mille di Gianni Morandi.
L’atmosfera è stata ulteriormente alleggerita dalle canzoni di cantanti bolognesi cantate, qua e là, per ravvivare la serata.
La musica, si sa, scioglie sempre la tensione.
A tutti quelli chiamati è stata consegnata una medaglia dentro una piccola scatola di cartone blu.
Mano a mano che venivano chiamati gli autori, il mio nome non veniva pronunciato.
All’inizio ho pensato semplicemente che la prossima sarei stata io, che al turno successivo anche il mio nome sarebbe stato chiamato, ma le file scorrevano davanti ai miei occhi e ciò non accadeva.
Il presentatore ha annunciato il podio.
Il mio cuore ha iniziato a battere più forte.
I terzi classificati sono stati chiamati e sono state loro consegnate le medaglie.
Del mio nome nessuna traccia.
Sono giunti i secondi classificati.
Sono stati elogiati e se ne sono andati.
Ancora nulla.
Ero confusa: non capivo perché nessuno mi avesse ancora chiamata.
Mi aspettavo che mi dessero una medaglia per essere la concorrente più giovane in gara, ma sul tavolo dei premi non rimaneva più nulla a parte una scatola, una sola, blu.
Alla fine sono arrivata a pensare che si fossero completamente dimenticati di me.
Mi guardavo intorno e vedevo negli occhi di mia madre uno scintillio che si faceva eco della sensazione simile a farfalle nello stomaco che sentivo anch’io.
Tensione ed emozione si mescolavano nelle mie vene, un cocktail esplosivo che mi faceva sentire come una bolla di sapone in una giornata di vento.
Non riuscivo a capire il perché di quello sfavillare negli occhi della mamma.
Finchè d’un tratto, all’improvviso, la cantante non ha iniziato a cantare l’ultima canzone della serata.
Era “4/3/1943” di Lucio Dalla.
Non so se la canzone abbia sciolto la mia tensione o l’abbia accresciuta.
Perché se cantavano quella canzone… forse voleva dire che… che… che io… io…?
La canzone è finita: “E ancora adesso che gioco a carte e bevo vino per la gente del porto mi chiamo… Gesù Bambino…”.
L’ultima strofa ha vibrato nell’aria, insieme alla manciata finale di note e al battito del mio cuore impazzito.
Per qualche istante, silenzio.
Il presentatore ha attaccato: “Questo è un racconto bellissimo, io l’ho letto e mi è piaciuto moltissimo. Scusate, ma voglio spenderci due parole. O meglio, non è un racconto… è una ninnananna”.
A quelle parole, tutto intorno a me si è fermato: il mio cuore, il mio respiro, il sangue nelle mie vene, il brusio delle gente, il vociare delle persone, il ticchettio di un orologio, da qualche parte.
Il Tempo si è cristallizzato insieme a quella frase, quella frase che rimaneva sospesa nell’aria come un profumo restio a svanire.
Credo che, per una manciata di secondi, il mondo abbia smesso di girare sul suo asse.
Poi, quando ha ricominciato a ingranare, tutto era rapidissimo, vorticoso, frenetico, un turbine che rischiava di travolgermi.
Il cuore ha preso a martellarmi impazzito nel petto, lo sentivo pulsare ovunque, ovunque, ovunque, batteva, batteva, batteva, non si fermava più, più.
Sentivo il sangue scorrere velocissimo nelle vene, galopparmi nel corpo come un puledro imbizzarrito e scrosciarmi nelle orecchie, coprendo gli altri suoni.
Il fiato mi si rompeva in gola, lasciando uscire solo respiri spezzati dall’emozione.
Mi sentivo come se il mio corpo si fosse tramutato in uno strumento invisibile, come se corde troppe tese di violino si stessero per lacerare dall’incredulità e dalla felicità al centro del mio petto.
Mi sono portata istintivamente una mano al petto, sentivo il cuore pulsare ferocemente sotto il palmo, palpitare in gola, come una spugna calda e morbida.
Mi sono guardata intorno, con gli occhi sgranati e lo sguardo smarrito.
Mentre mia madre mi abbracciava e si chinava su di me a sussurrarmi quanto fosse orgogliosa di me, ho realizzato l’enormità di quello che mi stava accadendo.
Non potevo crederci!
Ero la prima, ero la prima davvero!
Avevo vinto il concorso!
Ero frastornata e confusa ma, oh, così felice!
Il conduttore ha ripreso a parlare: “Pensate, l’autrice ha quarantadue anni meno trenta. Adesso vorrei chiedere a Silvia di leggere un brano del racconto perché, secondo me, rimarrete sorpresi”.
Detto questo la donna ha preso il plico di fogli del mio racconto, ha inforcato gli occhiali e iniziato a leggere.
Ha letto la prima mezza pagina, dopodiché il presentatore ha applaudito, seguito a ruota da tutto il pubblico.
“Dodici anni, signori, dodici anni! Vieni, dove sei?” ha domandato, cercandomi fra il pubblico con lo sguardo.
A quel punto, con il cuore in gola dall’emozione e dalla gioia, mi sono alzata a mi sono diretta verso il palco.
Ero così ebbra di felicità che non ho notato un gradino e sono quasi caduta.
Sono salita sul palco e, una volta al centro sotto i riflettori, ho guardato giù.
Come sembrava piccolo eppure temibile il pubblico, da lassù!
E come mi sentivo piccina eppure enorme, da lì!
Era una sensazione così strana…
Le leggi che regolavano il mondo normale si capovolgevano: era una realtà in cui anche una normale ragazzina come me, considerata “stramba” per il suo amore illimitato per i libri e le parole, poteva vincere un concorso nazionale e parlare su un palco con un pubblico a guardarla e ascoltarla.
Com’era strano il mondo, visto da lì!
I visi si confondevano, anche le figure care dei miei familiari sfumavano nell’ombra, confondendosi nella moltitudine.
Dopo la foto di rito con la segretaria il presentatore mi ha domandato: “Dimmi, come mai hai scelto proprio questa canzone, una canzone con questi contenuti, soprattutto?”.
Ed io ho risposto semplicemente la verità, ovvero tutto quello che ho scritto in questo tema finora.
Quando ho terminato, la donna mi ha messo fra le mani una scatola rettangolare di spesso cartone blu, grande più o meno come una scatola di cioccolatini.
Ho sollevato il coperchio e mi si è mozzato il fiato: dentro c’era una targa rotonda di vetro fissata a una base blu dello stesso materiale, con sopra impresse le parole:

Edizioni del Loggione
1° PREMIO CONCORSO DI LETTERATURA
SÓCC’MEL che canzone!
Margherita S
4/3/1943: NINNANANNA DI TAVERNA
Mi hanno scattato una fotografia in cui mostravo la medaglia nella scatola all’obbiettivo, poi l’ho richiusa con cura e l’ho stretta fra le mani così forte che mi sono diventate bianche le nocche.
Dopo di ciò il conduttore mi ha fatto sinceri complimenti per la mia bravura e il mio talento, si è detto orgoglioso di avere una nuova generazione di scrittori, ha detto che sperava di rivedermi l’anno prossimo e che dovevo abituarmi alle foto ufficiali, perché ce ne sarebbero state di sicuro molte altre.
Io ho ringraziato, con un nodo alla gola, e sono scesa dal palco, tornando al mio posto.
Le reazioni dei miei familiari sono state molto diverse: mia madre sorrideva orgogliosa e felice; mia nonna Raffaella era incredula; mio nonno Luigi un po’ batteva le mani, un po’ rideva, un po’ si asciugava le lacrime; mio zio Giuseppe riguardava sul suo telefonino il video che mi aveva appena fatto; mia nonna Patrizia piangeva a dirotto, sorridendo e tamponandosi con un fazzoletto le lacrime che scioglievano il trucco, mentre i miei fratelli saltellavano e si sbracciavano per mostrare quanto fossero felici.
A ciò è seguita la consegna dei diplomi, premi minori per chi ancora non era stato chiamato.
Alla fine la cantante ha cantato una canzone di Andrea Mingardi che recava lo stesso nome del concorso, ma io ero troppo emozionata e disorientata per cantare o anche solo per parlare.
Alla parte di me incredibilmente, indicibilmente, indescrivibilmente felice si contrapponeva la parte incredula, che non riusciva a credere a ciò che mi era appena accaduto.
Ero così grata di avere avuto un’opportunità del genere nella mia vita.
Avevo provato emozioni così forti e travolgenti che non pensavo potessero esistere.
Alla fine, dopo la conclusione, c’è stato un buffet.
Mentre ero in fila in attesa del mio turno molte persone sono venute a salutarmi, a congratularsi con me, a scambiare due parole gentili o semplicemente a stringermi la mano.
Sono stata così orgogliosa quando uno degli autori è venuto da me a complimentarsi per il risultato raggiunto!
Ovunque mi girassi vedevo persone gentili che mi sorridevano, esclamavano, mi volevano parlare e salutare.
È stato meraviglioso.
Mi sono sentita unica, speciale, come se possedessi un talento che avrebbe potuto condurmi alla felicità.
Dopo poco abbiamo deciso di tornare a casa.
Ho salutato la segretaria e il presentatore, le signore gentili della bancarella e siamo usciti.
Fuori cadeva una pioggia fredda e sottile, che tamburellava delicatamente sull’ombrello e contro i vetri delle macchine.
Il cielo era grigio, facendo da sfondo alle gocce di pioggia che cadevano l’una dopo l’altra.
Siamo saliti in macchina e partiti per ritornare a casa.
Guardavo fuori dal finestrino e pensavo che nemmeno la pioggia avrebbe potuto cancellare la mia felicità.
Mi sentivo ancora le guance scottare dalla gioia.
Fuori sfilava la campagna, e la pioggia ticchettava lievemente contro il vetro.
Mi ero creata un ricordo che non avrei scordato mai più, e che mi avrebbe accompagnata per il resto della vita.
Stringevo ancora fra le mani la scatola di cartone blu.
La aprii e guardai la targa, facendoci scorrere sopra le dita, in una lunga carezza.
Pensai che le persone fanno tanto rumore per nulla, per l’Amore come lo intendono i poeti, l’amore che porta al fidanzamento e poi al matrimonio, quando esistono tanti tipi d’amore, e ognuno è unico.
Si dice che, quando si è innamorati, si sentano le farfalle nello stomaco.
Anche se non ero innamorata, o almeno non nel senso dell’amore di cui ho parlato prima, io quel giorno le avevo sentite, le farfalle nello stomaco, nette all’altezza dell’addome, ed era stato come avere un bouquet di palloncini colorati che si libravano verso il cielo azzurro dentro di me.
In fondo, a pensarci bene, io ero innamorata.
Ero innamorata delle parole
E lo sarei stata per sempre.


Una doverosissima segnalazione: il primo premio non è stato solo di Margherita, ma un ex aequo 

Vincitori 1° premio
"Kill Gianni" di Michel Minghetti
"Uomini" di Valentino Poppi
"Ninna nanna di taverna" di Margherita S


Concludo con l'incipit del racconto di Margherita, direttamente dal libro
.

Con questo post partecipiamo al  "Venerdì del libro" di "HomeMadeMamma".

5 commenti:

  1. Mamma mia quante emozioni e quanta gioia. Che bello!!! Davvero complimenti Margherita. Sei una ragazza splendida

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  2. Margherita sei una ragazza unica e speciale! Penso che dovrai abituarti alle medaglie, alle farfalle nello stomaco e a godere del tuo talento!!!

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  3. Margherita!
    Non riesco a smettere di piangere per l'emozione!
    Hai raccontato così bene le tue emozioni che mi sembrava davvero di essere lì con te!
    Brava! Bravissima!
    E ti auguro con tutto il cuore di coltivare per sempre l'amore per le parole.
    Attraverso le parole si possono fare grandi cose!
    Un abbraccio a te e alla tua meravigliosa famiglia!

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  4. Bravissima Margherita, siamo orgogliosi di te.
    Continua ad esplorare il tuo potenziale e a vivere tutte le emizioni che nascono.
    Ti abbracciamo Chiara e cuccioli

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  5. Grazie, grazie di cuore a tutti voi!
    L'amore e l'affetto che mi trasmettete sono impagabili.
    Grazie per l'incoraggiamento, e per credere sempre in me, anche quando va male.
    Non riuscirò mai a ringraziarvi abbastanza.
    Condividere le mie emozioni con voi è sempre bellissimo.
    Con gratitudine e affetto,

    Margherita:)

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