sabato 30 giugno 2012

Da bicchieri a tulipani giocattolo


Come già per le favoline inventate dalle sorelle, anche la storia di Mariangela (La margheritina e il tulipano) è diventato un giocattolo.
Anzi, due, dato che la margherita -personaggio comune a più favole e tema conduttore della nostra primavera appena conclusa- era stata già realizzata qui.
Ecco, oggi, i nostri tulipani.
Ho pensato molto a come realizzarli, scartando diverse idee finchè, girovagando appositamente per negozietti di casalinghi e bricolage, mi sono imbattuta in questi bicchieri a calice di plastica verde.
Semplici, robusti ed economici (poco più di 1 euro ciascuno): facevano proprio al caso nostro.

Occorrente:
- 1 bicchiere a calice di plastica verde
- carta crespa del colore prescelto
- colla vinilica
- pennello
- occhietti mobili
- ritagli di cartoncino rosa

Procedimento:
- Ritagliare diverse strisce di carta crespa (noi ne abbiamo fatte 8, della misura circa di 20 cm x 4 ciascuna)
- Cospargere il calice del bicchiere di colla vinilica distribuendola uniformemente con un pennello
- Partendo dalla base del calice, rivestirlo sia esternamente che internamente di carta crespa, sovrapponendo più strati.
- Pressare bene con il pennello e/o con le mani, in modo da far aderire la carta crespa ed evitare troppe pieghe.
. Quando la carta è ancora umida, incollare gli occhietti mobili
- Ritagliare le guancine,(il naso) e la bocca dal cartoncino rosa ed incollare anch'esse.

Ecco fatto: ora non resta che inventarsi tanti giochi con protagonista un tulipano colorato!


venerdì 29 giugno 2012

Mariangela inventa una favola: La margheritina e il tulipano

Questa è la favola inventata da Mariangela (5 anni non ancora compiuti) la scorsa primavera.
I suoi punti di partenza e riferimento sono stati essenzialmente due: la favola "La margheritina e la rosa" su cui avevamo "lavorato" a lungo, e quella inventata dalla sorella Margherita (La margheritina e l'usignolo).
Dalla prima, Mariangela ha preso la storia, rielaborandola in chiave più simpatica, come una storia di amicizia piena ed immediata, tipica del suo carattere simpatico e solare; dalla seconda, ha tratto un po' di termini, alcuni passaggi descrittivi, un po' del linguaggio "da grandi" della sorella.
Il risultato è una favolina allegra, pura e piacevole, la storia di un'amicizia, dell'amicizia intesa come rimedio alla solitudine, dell'apertura verso il prossimo, del sentirsi unici ed amati ("mi ha scelto") della facilità di rapporti e relazioni che tutti dovremmo re-imparare dai bambini.
Di seguito, gli acquerelli raffiguranti il tulipano ed un disegno di ogni bimbo per rappresentare i due personaggi della storia.

La margheritina e il tulipano
C’era una volta un bel prato con tante margheritine.
Il sole splendeva sopra di loro e il vento le accarezzava dolcemente.
E le api le facevano crescere ancora di più, ancora di più portando in giro delle gocce d’acqua sopra di loro. E loro crescevano, crescevano, ed erano già cresciute molto.
Un giorno la nonna decise di raccoglierne una, la sorella più piccola.
E la mise in un vaso insieme a un tulipano arancione bello vivace. E poi lui disse: “Ciao, piccolina! Che ci fai qui?”
E la margheritina disse: “Mi ha messo qui nel vaso la nonna. Mi ha raccolto nel prato dove vivevo con le mie sorelle, nel giardino della nonna! E tu come sei finito qui?”
Il tulipano rispose: “Mi ha messo qui la nonna, mi ha scelto!”
“Margheritina, è da tanto che non vedevo nessuno! Desideravo avere un’amica, mi ero annoiato a stare nel vaso tutto da solo!”
La margheritina rispose: “Tulipano, tu sei molto bello, carino e simpatico: io sono contenta di stare con un altro fiore!
“E io ti voglio un bene immenso!”
“Tu sei il mio amico preferito!”
“Anche tu sei la mia amica preferita!”
Così il tulipano e la margheritina diventarono amici e vissero per sempre felici e contenti!
Mariangela

Margherita

Camilla

Giovanni

Mariangela

Margherita

Camilla

Giovanni

Qui, il testo della favolina in versione scaricabile.
A domani, con il giocattolo nato da questa favolina.

mercoledì 27 giugno 2012

I nostri bimbi, la visita del Papa e le emozioni scatenate dal terremoto

Eccomi qui! Ieri, come vi ha già raccontato PapàGiorgio, abbiamo vissuto una giornata intensa, faticosa ed emozionante, in cui abbiamo avuto il privilegio di vedere da vicinissimo Papa Benedetto XVI.
Nonostante la stanchezza, la levataccia ed il gran caldo, non appena rientrati in casa, mentre io approntavo qualcosa in fretta e furia per il pranzo, tutti e quattro i bambini si sono subito precipitati a disegnare il Papa.
Lo hanno disegnato nei suoi abiti bianchi, col volto sorridente, in mezzo alle case crepate e distrutte dal terremoto. 
E' proprio questo il messaggio che volevamo arrivasse loro: l'amore di Dio e la sua presenza anche in un momento così difficile, anche tra la paura ed il dolore.
In questi giorni, poi, tutti loro stanno parlando sempre più spesso del terremoto.
Dopo una fase di paura quasi paralizzante, in cui ogni momento pareva di sentire una scossa (in effetti, tra magnitudo varie, sono state oltre 2000 in 40 giorni) ed ogni piccolo rumore faceva sobbalzare, ci sono stati giorni di apparente "congelamento" delle emozioni e dei ricordi, per poi passare, ora, ad una fase di attiva rielaborazione dell'evento. Fanno domande, chiedono spiegazioni scientifiche, ricordano nei minimi dettagli cosa ognuno di noi stesse facendo al momento della "grande scossa" dello scorso 29 maggio. Ricordano i nostri gesti, i nostri sguardi, la nostra corsa giù per le scale. Ricordano i cocci trovati al nostro rientro, lo "sporco" in cucina dato da tutto ciò che si era rovesciato e rotto cadendo. Guardano le crepe di casa nostra, le paragonano con altre che vedono fuori e chiedono di coontinuo: "Questa è di intonaco, vero? Non è una crepa strutturale?". Osservano e distinguono ogni edificio tra "agibile" e "non agibile", conoscono ormai i vari tipi di putrella, le recinzioni da "zona rossa", le reti da demolizione imminente, i nastri rossi e bianchi che segnalano il pericolo. Girano per la nostra cittadina, come tutti noi, col naso all'insù, e stentano a riconoscere "i loro posti" con le chiese chiuse, la piazza martoriata, i merli del palazzo del governatore tagliati, i campanili storti e spuntati.
Ma è assolutamente un bene che ne parlino, che sfoghino le tensioni, che elaborino l'accaduto.
E' proprio per aiutarli a superare la paura, per dar loro speranza e serenità che abbiamo deciso di portarli dal Papa. Un'esperienza speciale, unica, da "privilegiati".
E' stata una giornata che -sono sicura- saranno in grado di conservare nei loro cuori, e che li aiuterà ad andare avanti con serenità e spensieratezza.
Margherita e Mariangela hanno poi subito voluto anche raccontare con le loro parole l’esperienza della giornata di ieri, Camilla e Giovanni hanno fatto lo stesso stamattina.
Vi lascio i loro elaborati e, in fondo, una piccola intervista "rilasciata" tra altre da me e Giorgio ad un giornalista di RadioVaticana, e pubblicata.


Tema di Margherita: Papa Benedetto XVI
Oggi siamo andati a Rovereto di Novi a vedere il Papa Benedetto XVI.
Questa mattina alle 6 mamma e papà ci hanno svegliato prestissimo per andare a prendere la corriera.
Quando siamo arrivati là, le prime due ore sono state d’inferno perché c’era tanta gente affollata e noi bimbi eravamo seduti in terra in un posticino piccolissimo.
Poi ad un certo punto ci siamo spostati e siamo andati in un giardinetto lì attaccato da cui si poteva vedere il Papa.
Abbiamo giocato e anche fatto merenda con delle pastine che aveva preso la mamma e così le cose sono andate molto meglio.
Dopo un po’ è arrivato il Papa: che felicità!!!
Il Papa aveva l’aspetto di un uomo molto buono.
Indossava un abito lungo lungo bianco, con le maniche lunghe, una stola sempre bianca con dei ricami dorati ed anche il bordino dorato. In testa aveva uno zucchetto bianco.
Fece un discorso abbastanza lungo e molto bello: era venuto lì perché nella chiesa di  quella cittadina era morto il prete per salvare la statua della Madonna e le Ostie consacrate. In quella città c’erano moltissime case inagibili e pienissime di crepe.
Il Papa io me lo aspettavo un po’ diverso, però vederlo è stato bello! 



Pensieri di Camilla: il Papa

Ieri è venuto il Papa in un paese qua vicino.
Siamo andati con una corriera verde poi con una corriera gialla poi siamo scesi.
Le case erano rotte perché c’è il terremoto.
Abbiamo aspettato tanto tempo che il Papa arrivasse  e io ero stanca. Poi siamo andati in un parchetto che c’era lì vicino e ho giocato. 
E dopo più tardi abbiamo mangiato i crackers e le pastine.
Dopo è arrivato il Papa. Era vestito di bianco e ha parlato.
Che bello che veniva il Papa!
E dopo felici e contenti siamo tornati a casa.


Pensieri di Mariangela: il Papa

Questa mattina la mamma e il papà ci hanno svegliato alle 6, presto presto, per andare a trovare il Papa.
Dovevamo raggiungere una corriera e poi c’era tanta gente che doveva salire e voleva andare a trovare il Papa.
Il Papa doveva arrivare con un elicottero perchè era a Roma.
Poi abbiamo aspettato un bel po’ che ci fosse il Papa. Eravamo seduti per terra che aspettavamo ed era così tanto stretto!
Più tardi, per aspettare, c’era un giardinetto dove c’erano un bello scivolino, due belle altalene ed anche un motorino. Poi abbiamo cominciato a fare  un po’ merenda con delle pastine e con dei crackers.
E poi avevamo sentito un rumore strano in cielo ed erano tanti elicotteri.
Non vedevo l’ora di vedere il Papa, io!
Io ero proprio contenta di vedere il Papa!
Per vederlo, mi ha preso sulle spalle una signorina: il Papa era vestito di bianco con un cappellino bianco in testa: è da tanto che non lo vedevo io!
Poi lei mi ha dato un biscotto e mi hanno filmata!
E poi siamo tornati a casa e io ero un po’ stanchina ma è stata una bella giornata.


Pensieri di Giovanni: il Papa
 
Ieri eravamo andati a vedere il Papa.
Ci siamo svegliati presto e siamo andati in corriera verde,  poi dopo in quella gialla.
Le case erano rotte e avevano tante crepe, poi c’erano dei calcinacci e dei tetti caduti perché c’era il terremoto  e tanti poliziotti con le pistole vere.
Abbiamo aspettato tanto e io ero stanco poi ci siamo spostati in un bel parchetto con uno scivolo e una panchina bellissima marrone e abbiamo fatto merenda d io ho mangiato tutte le pastine al cioccolato.
E allora il Papa era arrivato con l’elicottero, poi ha parcheggiato l’elicottero in un posto e poi io ho visto il Papa da lontano su una panchina grande grande grande.
Mi ha preso una signorina sulle spalle: io ho visto del bianco ed era il Papa.
Il Papa era buono e diceva tante cose e aveva le rughe sulla faccia.
 Poi siamo tornati a casa con le corriere e poi con la macchina. 
E’ stata una bellissima giornata.


D. – Lei ha portato qui tutti i suoi bambini piccoli, perché?

MammaElly. – Perché volevo che sentissero il calore del Papa e che non avessero dubbi sulla presenza di Dio, cosa che in questo momento – a volte – può capitare. Invece, volevo far sentire l’amore del Signore su di noi. 

D. – Il Papa ha parlato di cuori che "non sono lesionati", al contrario delle case. Ha parlato del non cadere nella tentazione. Che cosa l’ha colpita di più?

PapàGiorgio. – Il riferimento che il Papa ha fatto alla tentazione dello sconforto, che è esattamente il contrario della virtù cristiana della speranza. Personalmente, credo che l’intervento del Papa – almeno per quanto mi riguarda – ha rafforzato la mia fede a livello individuale e a livello collettivo la nostra speranza in un futuro migliore, anche nelle nostre vicende quotidiane. 

D. – Anche lei ha portato qui la famiglia, perché questa scelta?

PapàGiorgio. – Perché i bambini sono stati molto colpiti, in senso negativo ovviamente, dal terremoto. Ho voluto portarli qui intanto per incontrare la presenza del Santo Padre e per testimoniare, tramite questa presenza, il fatto che Dio comunque non ci abbandona mai, che l’amore di Dio ci segue comunque anche nei momenti più difficili della nostra vita individuale e collettiva.


martedì 26 giugno 2012

IL PAPA IN MEZZO A NOI TERREMOTATI


Questa mattina, Sua Santità il papa Benedetto XVI si è recato in visita ai luoghi che videro l’epicentro del terremoto che nei giorni 20 e 29 maggio ha colpito duramente le nostre terre.
E così anche noi, con tutta la nostra truppa, con una corriera organizzata in fretta e furia dalla nostra parrocchia, siamo partiti alla volta di Rovereto di Novi, dove il Santo Padre era atteso per le ore 10.50, dopo essere stato a visitare la frazione di San Marino, anch’essa duramente colpita dal sisma, ma soprattutto luogo in cui, nella Chiesa parrocchiale, è morto il sacerdote don Ivan Martini, nel tentativo di portare in salvo una statua della Santa Vergine molto cara alla devozione di quella gente.
Per assicurarci un posto il più vicino possibile al palco pontificio, la corriera è partita alle 7.00, sebbene il nostro paese disti non più di un’ora dal luogo dell’incontro papale.
Durante il tragitto, quanto più ci avvicinavamo ai luoghi dell’epicentro sismico, tanto più era sconcertante lo spettacolo di devastazione lasciato dietro di sé dal terremoto: le case, le stalle, i fienili, le chiese, i negozi, le fabbriche, tutto era distrutto, tutto era visibilmente e vistosamente pericolante. Un senso di precarietà era palpabile nell’aria di quei paesi di campagna, fino a poche settimane fa considerati da tutti prosperi e felici.
Giunti sul posto è iniziato – per noi, ma soprattutto per i nostri cinque pargoli – il periodo più difficoltoso. Infatti, i pochi posti a sedere preparati erano già tutti occupati (e mancavano ancora quasi tre ore all’arrivo del papa!) e lì per lì eravamo finiti assiepati proprio contro la transenna centrale. La prima ora è passata abbastanza bene, anche perché, almeno, eravamo all’ombra. Poi, i bambini hanno iniziato a dare in escandescenza: “Mamma sono stanca!” tuonava Camilla; “Quando andiamo a casa?” le faceva eco Giovanni; “Ho sete!” continuava allora Mariangela, e via discorrendo.
Finalmente, quindi, un gentile operatore della Protezione Civile ci ha aperto un varco per farci passare nel parco-giochi accanto a noi, proprio affianco al palco papale. Qui tutto è cambiato: c’era un grande spazio verde con giochi per bambini e panchine, dove i bambini hanno potuto rilassarsi e fare merenda nell’attesa dell’arrivo del papa.
Proprio lì c’era pure la anche la tribuna della stampa e così io e Mamma Elly siamo stati intervistati per ben due volte ciascuno, da vari media nazionali (Ansa, Radio Vaticana, Rai 3 ed un’altra TV da noi non identificata).
Finalmente, alle 10.57, con quasi dieci minuti di ritardo, il papa è arrivato. Noi eravamo proprio lì, a circa dieci metri di distanza da lui: un’esperienza spiritualmente intensa ed umanamente emozionante.
Prima c’è stato lo scialbo discorso del presidente della Regione Emilia Romagna,Vasco Errani; scialbo, dicevo, perché pareva la riedizione di un programma democristiano della prima repubblica: tanta retorica; tante, tantissime promesse circa il radioso avvenire delle nostre terre martoriate; tanti ringraziamenti al papa, invero un tantino stridenti sulla bocca di un esponente politico erede di una filosofia atea e materialistica completamente avversa non solo alla Chiesa, ma all’idea stessa di trascendenza. Tanto fumo; niente arrosto. Anzi, una nota – a mio modo di vedere – particolarmente stonata. Errani, infatti, ha detto che la prima cosa ad essere ricostruita saranno – udite, udite – le scuole. Sono rimasto sbigottito: come “le scuole”? E le case? E la gente che dorme nelle tende? Anche questo è un segno nefasto di inversione dei principi: prima le famiglie devono avere un tetto sulla testa dove poter vivere, magari con sobrietà, ma comunque con dignità; poi vengono semmai gli ospedali, molti dei quali distrutti dal sisma, ma pur sempre indispensabili per garantire la sopravvivenza delle persone (non dimenticando che il primo dovere dello stato è garantire il benessere materiale delle persone, secondo il vecchio principio: la Chiesa curi la salute delle anime e lo stato quella dei corpi). Quindi, dovranno venire i luoghi di lavoro, nei quali le persone si guadagnano il pane quotidiano. Infine, per ultime, le scuole e gli uffici pubblici. Questa è la giusta gerarchia, secondo la retta ragione ed il giusto diritto.
Quindi è stata la volta di un breve ed assai ben riuscito discorso di Sua Eminenza il Cardinale Carlo Caffarra, Arcivescovo di Bologna, in rappresentanza di tutti i Vescovi (pure essi presenti) della Metropolia Emiliano-Romagnola. Il breve discorso è stato improntato alla speranza cristiana; l’apice – ed, in certa misura, la sintesi – dell’intervento è stata la citazione delle parole che un bambino – ha raccontato Caffarra – gli ha detto qualche settimana fa: “Le nostre case hanno molte crepe, ma i nostri cuori no!”.
Infine – cosa più importante – le parole del papa. Un discorso semplice ed alieno dalla retorica di circostanza. Dopo qualche sobrio e soprattutto brevissimo cenno di saluto alle autorità civili e religiose, ecco che il papa dice due cose semplicissime, una di ordine religioso, l’altra di ordine pratico.
La prima è, in sostanza, questa: non perdete la Fede, perché Dio vi ama e non vi abbandona anche durante il terremoto. Questa, in estrema sintesi, la prima parte del discorso del papa. Niente di più. Un discorso da papa e non da politicante. Un solo concetto, ma di un importanza assoluta e capitale. Due le esplicitazioni fatte dallo stesso pontefice: la Fede non ci deve abbandonare, perché Dio, che è l’Autore della Fede, non ci abbandona; da qui nasce la Speranza, quella vera, quella con la “S” maiuscola. Non la speranza di un avvenire temporale prospero, ma la Speranza di una vita che nessun terremoto può sconquassare, perché fondata su una pietra angolare che non può crollare: Nostro Signore Gesù Cristo. Le parole del papa sono diverse dalle mie, ma il concetto è questo.
La seconda cosa che il papa ha detto è, invece, questa: la Chiesa è vicina ai terremotati, non solo con la doverosa preghiera a Colui che tutto sa e tutto può, ma anche con le concrete opere di carità poste in essere dagli enti e dagli organismi religiosi sparsi sul territorio, Caritas parrocchiali e diocesane in primis.

Qui di seguito riporto il testo integrale del discorso di Sua Santità.

DISCORSO DI S.S. PAPA BENEDETTO XVI
Cari fratelli e sorelle!
Grazie per la vostra accoglienza!
Fin dai primi giorni del terremoto che vi ha colpito, sono stato sempre vicino a voi con la preghiera e l’interessamento. Ma quando ho visto che la prova era diventata più dura, ho sentito in modo sempre più forte il bisogno di venire di persona in mezzo a voi. E ringrazio il Signore che me lo ha concesso!
Saluto allora con grande affetto voi, qui riuniti, e abbraccio con la mente e con il cuore tutti i paesi, tutte le popolazioni che hanno subito danni dal sisma, specialmente le famiglie e le comunità che piangono i defunti: il Signore li accolga nella sua pace. Avrei voluto visitare tutte le comunità per rendermi presente in modo personale e concreto, ma voi sapete bene quanto sarebbe stato difficile. In questo momento, però, vorrei che tutti, in ogni paese, sentiste come il cuore del Papa è vicino al vostro cuore per consolarvi, ma soprattutto per incoraggiarvi e sostenervi.
Saluto il Signor Ministro Rappresentante del Governo, il Capo del Dipartimento della Protezione Civile, e l’Onorevole Vasco Errani, Presidente della Regione Emilia-Romagna, che ringrazio per le parole che mi ha rivolto a nome delle istituzioni e della comunità civile. Desidero ringraziare poi il Cardinale Carlo Caffarra, Arcivescovo di Bologna, per le affettuose espressioni che mi ha indirizzato e dalle quali emerge la forza dei vostri cuori, che non hanno crepe, ma
sono profondamente uniti nella fede e nella speranza.
Saluto e ringrazio i Fratelli Vescovi e Sacerdoti, i rappresentanti delle diverse realtà religiose e sociali, le Forze dell’ordine, i volontari: è importante offrire una testimonianza concreta di solidarietà e di unità.
Come vi dicevo, ho sentito il bisogno di venire, seppure per un breve momento, in mezzo a voi. Anche quando sono stato a Milano, all’inizio di questo mese, per l’Incontro Mondiale delle Famiglie, avrei voluto passare a visitarvi, e il mio pensiero andava spesso a voi. Sapevo infatti che, oltre a patire le conseguenze materiali, eravate messi alla prova nell’animo, per il protrarsi delle scosse, anche forti; come pure dalla perdita di alcuni edifici simbolici dei vostri paesi, e tra questi in modo particolare di tante chiese. Qui a Rovereto di Novi, nel crollo della chiesa – che ho appena visto – ha perso la vita Don Ivan Martini. Rendendo omaggio alla sua memoria, rivolgo un particolare saluto a voi, cari sacerdoti, e a tutti i confratelli, che state dimostrando, come già è avvenuto in altre ore difficili della storia di queste terre, il vostro amore generoso per il popolo di Dio.
Come sapete, noi sacerdoti – ma anche i religiosi e non pochi laici – preghiamo ogni giorno con il cosiddetto «Breviario», che contiene la Liturgia delle Ore, la preghiera della Chiesa che scandisce la giornata. Preghiamo con i Salmi, secondo un ordine che è lo stesso per tutta la Chiesa Cattolica, in tutto il mondo.
Perché vi dico questo? Perché in questi giorni ho incontrato, pregando il Salmo 46, questa espressione: «Dio è per noi rifugio e fortezza,/aiuto infallibile si è mostrato nelle angosce./Perciò non temiamo se trema la terra,/se vacillano i monti nel fondo del mare» (Sal. 46,2-3).
Quante volte ho letto queste parole? Innumerevoli volte! Eppure in certi momenti, come questo, esse colpiscono fortemente, perché toccano sul vivo, danno voce a un’esperienza che adesso voi state vivendo, e che tutti quelli che pregano condividono. Ma – vedete – queste parole del Salmo non solo mi colpiscono perché usano l’immagine del terremoto, ma soprattutto per ciò che affermano riguardo al nostro atteggiamento interiore di fronte allo sconvolgimento della natura: un atteggiamento di grande sicurezza, basata sulla roccia stabile, irremovibile che è Dio. Noi «non temiamo se trema la terra» – dice il salmista – perché «Dio è per noi rifugio e fortezza», è «aiuto infallibile … nelle angosce».
Cari fratelli e sorelle, queste parole sembrano in contrasto con la paura che inevitabilmente si prova dopo un’esperienza come quella che voi avete vissuto.
Una reazione immediata, che può imprimersi più profondamente, se il fenomeno si prolunga. Ma, in realtà, il Salmo non si riferisce a questo tipo di paura, e la sicurezza che afferma non è quella di super-uomini che non sono toccati dai sentimenti normali. La sicurezza di cui parla è quella della fede, per cui, sì, ci può essere la paura, l’angoscia – le ha provate anche Gesù – ma c’è soprattutto la certezza che Dio è con me; come il bambino che sa sempre di poter contare sulla mamma e sul papà, perché si sente amato, voluto, qualunque cosa accada. Così siamo noi rispetto a Dio: piccoli, fragili, ma sicuri nelle sue mani, cioè affidati al suo Amore che è solido come una roccia. Questo Amore noi lo vediamo in Cristo Crocifisso, che è il segno al tempo stesso del dolore e dell’amore. È la rivelazione di Dio Amore, solidale con noi fino all’estrema umiliazione.
Su questa roccia, con questa ferma speranza, si può costruire, si può ricostruire. Sulle macerie del dopoguerra – non solo materiali – l’Italia è stata ricostruita certamente grazie anche ad aiuti ricevuti, ma soprattutto grazie alla fede di tanta gente animata da spirito di vera solidarietà, dalla volontà di dare un futuro alle famiglie, un futuro di libertà e di pace. Voi siete gente che tutti gli italiani stimano per la vostra umanità e socievolezza, per la laboriosità unita alla giovialità. Tutto ciò è ora messo a dura prova da questa situazione, ma essa non deve e non può intaccare quello che voi siete come popolo, la vostra storia e la vostra cultura. Rimanete fedeli alla vostra vocazione di gente fraterna e solidale, e affronterete ogni cosa con pazienza e determinazione, respingendo le tentazioni che purtroppo sono connesse a questi momenti di debolezza e di bisogno.
La situazione che state vivendo ha messo in luce un aspetto che vorrei fosse ben presente nel vostro cuore: non siete e non sarete soli! In questi giorni, in mezzo a tanta distruzione e dolore, voi avete visto e sentito come tanta gente si è mossa per esprimervi vicinanza, solidarietà, affetto; e questo attraverso tanti segni e aiuti concreti.
La mia presenza in mezzo a voi vuole essere uno di questi segni di amore e di speranza. Guardando le vostre terre ho provato profonda commozione davanti a tante ferite, ma ho visto anche tante mani che le vogliono curare insieme a voi; ho
visto che la vita ricomincia, vuole ricominciare con forza e coraggio, e questo è il segno più bello e luminoso.
Da questo luogo vorrei lanciare un forte appello alle istituzioni, ad ogni cittadino ad essere, pur nelle difficoltà del momento, come il buon samaritano del Vangelo che non passa indifferente davanti a chi è nel bisogno, ma, con amore, si china, soccorre, rimane accanto, facendosi carico fino in fondo delle necessità dell’altro  (cfr Lc. 10,29-37).
La Chiesa vi è vicina e vi sarà vicina con la sua preghiera e con l’aiuto concreto delle sue organizzazioni, in particolare della Caritas, che si impegnerà anche nella ricostruzione del tessuto comunitario delle parrocchie.
Cari amici, vi benedico tutti e ciascuno, e vi porto con grande affetto nel mio cuore.
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Domani MammaElly vi racconterà “come i bambini hanno preso” la visita del papa. 

domenica 24 giugno 2012

Bamboline: tre fatine ed un maghetto

Ecco un altro dei nostri giocattoli auto-prodotti: facendo seguito alla  favolina inventata da Camilla, ecco tre fatine per le bambine ed un maghetto maschio per Giovanni.
Realizzarle, come sempre, ha costituito un bel momento di piacevole impegno collettivo, ed un buon rinforzo positivo per Camilla, che si è sentita molto orgogliosa del suo personaggio trasformato in oggetto reale. Così sono nate tre "Fatine Camilla" ed un "Maghetto Giovanni".

Occorrente (per una bambola):
- 1 pallina di polistirolo (6-8 cm di diametro)
- colore acrilico rosa (o rosso + bianco)
- 1 stecco per spiedino
- Colla per gomma/ polistirolo/ materiali plastici
- Carta crespa di vari colori
- Occhietti mobili
- Gomma crepla rossa per la bocca
- 2 puntine da disegno rosse
- Cartoncino azzurro per i cappelli
- Puntatrice
- Spago da arrosto

Procedimento:
- Infilare la pallina nello stecco e passarla nel colore rosa fino a ricoprirla completamente. Se necessario, aiutarsi con un pennello. Lasciar asciugare completamente.
- Ritagliare delle strisce di carta crespa: usare l'intera lunghezza del rotolo per una fatina femmina; pezzi più corti per il maschio.
- Cospargere "la testa" della fata di colla e far aderire bene i capelli. 
- Incollare gli occhietti.
- Con un piccolo pezzettino di carta crespa rosa, fare una pallina ed incollarla come nasino.
- Ritagliare la bocca della forma preferita con la gomma crepla rossa ed incollare anch'essa.
- Ritagliare un cerchio di cartoncino azzurro, toglierne uno spicchio e formare il cono-cappello pinzandolo con la puntatrice.
- Incollare il cappello sulla testa aiutandosi, se necessario, con una o due puntine da disegno.
- Usare due puntine rosse come guancine.
- Ritagliare un quadrato di carta crespa del colore preferito (circa 40 x 40 cm), bucarlo al centro con lo stecco ed infilarlo a mò di vestito. 
- Fissarlo "al collo" della bambola con un fiocchettino fatto con lo spago da arrosto.

Ora il bambolotto è pronto per giocare: BUON DIVERTIMENTO! 

venerdì 22 giugno 2012

Camilla inventa una favola: La fata Camilla

Come ho già scritto, anche Camilla, Mariangela e Giovanni hanno inventato una propria favolina, che io ho trascritto al pc sotto loro dettatura.
Camilla è una bambina molto dolce e peperina, metodica, razionale ed in generale poco fantasiosa.
Per lei questo compito non è stato semplice. Ma, pensa e ripensa, ha inventato un personaggio comunque originale (le sorelle, prima di lei, si erano dedicate a fiorellini) e riversato nel suo racconto tutto ciò che la appassiona.
La fata Camilla la rappresenta molto nelle sembianze (è una bimba molto vanitosa: le piace tantissimo farsi bella!), è più grande di lei (uno scricciolino tutto pepe) e, soprattutto, vuole molto bene al suo fratellino Giovanni, con cui ha un rapporto davvero speciale...
La fata è stata poi rappresentata da tutti i bimbi: prima colorata con i pennarelli, poi ristampata e dipinta ad acquerello. Tecnica che ha reso sicuramente molto di più la delicatezza e la dolcezza del personaggio.


La fata Camilla
C’era una volta una fata di nome Camilla.
Era grande e bella: aveva i capelli biondi, gli occhi marroni e una bella bocca sorridente. Poi aveva un vestito azzurro lucido, un cappello a punta e una bacchetta fatta a stella. Ed anche le ali!
Un giorno la fata Camilla fece una magia a un bimbo che si chiamava Giovanni: lo fece volare nel cielo. 
Lui era felice e guardava le nuvole.
E vissero tutti per sempre felici e contenti.

Camilla
Margherita

Mariangela

Giovanni



N.B: nella fata rappresentata da Giovanni, dalla bacchetta magica escono tante stelline, al di sopra delle quali si intravede il bimbo Giovanni che vola...

Edit: La Fata Camilla è diventata anche un giocattolo!

giovedì 21 giugno 2012

Usignoli-giocattolo


Ecco qui i nostri usignoli, protagonisti, insieme alle margherite che vi ho mostrato ieri, della favola inventata da Margherita.
Anche questo giocattolino, pur se realizzato (o forse proprio per questo?) con elementi semplicissimi, è piaciuto tantissimo ai bambini, che gli hanno dato ciascuno un nome e ci stanno giocando in tanti modi e un po' tutti i momenti.

Occorrente: (per un uccellino)
- 1 uovo in polistirolo (quelle che si decorano a Pasqua);
- 1 stuzzicadenti
- colore acrilico grigio (o bianco + nero)
- occhietti mobili
- 2 cuoricini in gomma crepla per le ali
- 2 cuoricini gialli/arancioni in cartoncino per le zampette
- 1 triangolino di gomma crepla gialla per il becco
- Colla per gomma/polistirolo/materiali plastici
- Puntine da disegno


Procedimento:
- Infilare lo stuzzicadenti sulla base dell'uovo
- Afferrando lo stuzzicadenti, rotolare l'uovo nel colore acrilico grigio, ricoprendolo interamente.
- Lasciar asciugare completamente.
-  Togliere lo stuzzicadenti.
- Incollare gli occhietti ed il becco.
- Incollare le ali e fissarle con una puntina ciascuna.
- Incollare anche le zampette unendo i due cuoricini per la punta. Fissarle con un'unica puntina.
- Volendo "l'effetto femmina", aggiungere le ciglia con un pennarellino nero a punta fine.

N.B. I nostri cuoricini (non ben visibili dalle foto frontali) sono stati realizzati dai bambini con una piccola fustellatrice.



Ed ecco qui, insieme, la margheritina e l'usignolo!
Le proporzioni non sono il nostro forte, ma il risultato è caruccio, no???

mercoledì 20 giugno 2012

Margherite di polistirolo, per giocare con le nostre favole


La favola inventata da Margherita (La margheritina e l'usignolo) ha dato il via a numerose altre attività ludico-didattiche. 
In primo luogo, ognuno dei suoi fratelli ha voluto provare a cimentarsi con l'invenzione di una favoletta. 
Per rinforzare positivamente questa bella iniziativa, ho pensato di "trasformare in giocattolo" i personaggi delle loro storie.
Giocattoli semplici costruiti da noi, lavoretti divertenti ed oggettini a volte un po' fragili ma molto graditi ai bambini, perchè costruiti da loro, perchè pensati per loro. 
E molto gratificanti nell'essere nati da una loro idea.
L'ordine con cui le favole sono nate ed i giocattoli costruiti è stato molto vario. Io, per questioni di ordine e chiarezza, ho deciso di postare storia + giocattolo in successione tra loro e per età, dal bimbo più grande al più piccolo.
Inizio, quindi, dalle margheritine di polistirolo, a cui seguiranno, domani, 4 teneri usignoli.

Occorrente (per una margherita):
- 6 uova in polistirolo.(quelle che si decorano a Pasqua);
- 5 stuzzicadenti
- colore acrilico giallo
- occhietti mobili
- 1 stecco da spiedino
- colore acrilico verde
- pennarellino a punta fine rosso (per bocca e guancine)

Procedimento
- Infilare uno stuzzicadenti in ognuna delle 5 uova che si useranno come petali.
- Dipingere di giallo la parte inferiore del 6° uovo (la corolla) e lasciar asciugare.
- Attaccare i petali alla corolla, lasciando la parte appuntita sul retro.
- Incollare gli occhietti e disegnare i dettagli del volto con il pennarellino.
- Dipingere di verde lo stecco e lasciar asciugare.
- Infilare lo stecco nella parte inferiore della corolla.


Ecco fatto!

martedì 19 giugno 2012

Margherita inventa (e scrive) una favola: La margheritina e l'usignolo

Questo racconto, completamente inventato e scritto da Margherita questa primavera, è un po' il fiore all'occhiello del nostro percorso di quest'anno.
Inventare una favola, renderla armonica, darle uno svolgimento ed uno sviluppo, scriverla a penna di proprio pugno, dare ai personaggi caratteristiche che li denotino in maniera esaustiva, inserire anche una morale alla fine, sono tutte competenze che, al di là del "cuore di mamma", vanno sicuramente oltre una seconda classe. Poi subentrano la predisposizione personale, l'interesse per l'argomento, una buona proprietà di linguaggio e, in questo caso, l'insoddisfazione per diversi racconti a tema-margherite che avevamo trovato e letto insieme.
Molti di questi finivano male, oppure ritraevano personaggi tristi od egoisti. Così, una mattina, Margherita ha detto: "Mamma, me la scrivo io una bella favolina!".
Noi l'abbiamo aiutata un pochino solo con la punteggiatura, che ancora non sa mettere sempre a posto. 
Così è nato questo racconto, che io ho poi illustrato per farlo colorare ai più piccoli, mentre la "piccola scrittrice" disegnava da sè.

La margheritina e l’usignolo
C’era una volta una piccola margheritina che viveva in un bel prato.
Era piccola e graziosa: aveva un cuore d’oro e dei petali bianchi orlati di rosa.
Il sole brillava caldo sopra di lei e il vento la accarezzava dolcemente e lei era tranquilla e beata.
Si sentiva molto fortunata a poter vivere libera e felice in quel luogo dove l’erba era soffice e morbida e dove il cielo era limpido e sereno.

Un giorno passò di lì un uccellino piccolo e paffutello: aveva il becco arancione, le piume grigie sfumate di rosso ed il petto soffice e giallo.
L’uccellino aveva una voce così dolce e melodiosa, che la margheritina ne rimase incantata: non aveva mai sentito cantare in quel modo incantevole!

Dopo aver cantato a lungo l’usignolo si posò al suolo e la margheritina gli disse: “Ciao, ma lo sai che hai proprio una bella voce?”
“Sì, per forza, sono un usignolo!”
Ben presto i due fecero amicizia.

La margheritina raccontava all’usignolo com’era essere piccolini, avere le radici sempre tra la terra e fare amicizia con i piccoli insettini.
Infatti ella presentò tutti i suoi amici all’usignolo: farfalle, coccinelle, scarafaggi, formichine e anche un gruppo di simpatici vermetti che rendevano il terreno morbido per le sue radici.

Invece l’usignolo raccontava a lei com’era bello volare nel cielo azzurro, cercare il materiale per costruirsi il nido, posarsi sugli alberi e cinguettare in libertà.

Passavano intere giornate a raccontarsi le loro vite così diverse.
Ogni mattina l’usignolo arrivava dalla margheritina con sopra al becco due o tre goccioline di rugiada per dissetare la sua amichetta e per darle il buon mattino.
Lei, per ricambiare la gentilezza dell’usignolo, gli lasciava prendere un po’ di polline da spargere in giro per far crescere altri fiori.
Fu così che insieme capirono che pur essendo molto diversi si può essere grandi amici.


Per chi volesse, ecco la storia e le immagini.


Edit: qui e qui, invece, ecco i nostri personaggi trasformati in giocattolo...

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